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Quando anche fare il bucato diventa una corsa

Il lancio di un nuovo detersivo per bucato espressamente pubblicizzato per i cicli rapidi mi ha offerto uno spunto di riflessione. Lo condivido qui.

Quando anche fare il bucato diventa una corsa
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Agostino Forgione Modifica articolo

2 Febbraio 2025 - 17.09


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Velocità. Al netto di qualche sparuta frangia di pensiero che elogia la cosiddetta “vita lenta”, la nostra quotidianità è sempre più permeata da soluzioni che promuovono la rapidità. Certo rimangono ancora delle nicchie in cui il tempo è garante di qualità ed è generalmente connotato a valori positivi, penso al mondo dell’artigianato e dell’agroalimentare, ma nella vita di tutti i giorni se qualcosa può essere fatto più velocemente, se è possibile premere sull’acceleratore, allora è cosa buona farlo. E dunque via libera a tutto ciò che è “al volo”, che si tratti di patatine da forno – è sorprendente come negli ultimi anni il mercato abbia visto un’enorme espansione di questa categoria merceologica – o nella fattispecie di detersivo per il bucato.

Già, marketer e dirigenti aziendali si saranno giustamente accorti che esistono prodotti “rapidi” in praticamente quasi ogni segmento commerciale, ma finora non nel campo dei detergenti per lavatrice. I cicli rapidi quelli sì esistono già da tempo, ma un detersivo appositamente formulato per essi, o quantomeno promosso come tale, ancora non si era visto. Ed ecco che finalmente è arrivato sugli scaffali, in verità già da un paio di mesi. A promuoverlo un testimonial d’eccezione che, bisogna dirlo, non potrebbe essere più azzeccato: è Usain Bolt.

Da casalingo quale sono – lo ammetto – non ho resistito a informarmi sul prodotto. Osservando la sua etichetta una scritta salta subito all’occhio “ideale per cicli brevi anche di 15 minuti”, questo il claim che campeggia trionfale. La straordinaria campagna pubblicitaria che accompagna il suo lancio inviata a provarlo per testare con mano come in un solo quarto d’ora riesca a restituire capi ben puliti e profumati. Non sono un perito chimico e non so valutare se esista o meno una significativa differenza qualitativa tra tale prodotto e un qualsiasi altro, nonostante venga pubblicizzato come frutto di una ricerca che “combina tecnologia avanzata, intelligenza artificiale e robotica, studiata per rispondere alle esigenze dei consumatori moderni e per rivoluzionare la routine del bucato”. Al giorno d’oggi un po’ di AI ci sta sempre, come il pepe.

Rileggo più volte le righe e ho il sospetto che ci sia dello scappellamento a sinistra o a destra discretamente malcelato, ma è possibile che sia solo volgarmente ignorante e non sappia cosa sia l’intelligenza robotica, sebbene l’espressione risulti inedita persino a Google. Forse a fare i test in laboratorio saranno stati i famigerati robot umanoidi di Musk, chissà. Vabbè, poco importa. C’è una cosa che però so bene: quella che, tendenzialmente, i cicli rapidi inquinano più di quelli lunghi. Per capire perché bisogna ripassare brevemente come funziona una lavatrice. Il lavaggio dei capi avviene grazie a due fattori: l’azione meccanica, ovvero lo sfregamento, e l’ammollo. Aumentando la durata dei due fattori avremmo capi lavati meglio.

Ed ecco che sorge il primo problema: i cicli rapidi producono più microplastiche. Già, perché potendo contare su tempi di ammollo inferiori “sfregano” maggiormente i capi facendo girare di più il cestello rispetto a un programma standard. Ciò, ovviamente, è dovuto all’esigenza di lavare in meno tempo. Inoltre, i risciacqui sono anche più frequenti, addirittura della durata di pochi minuti nel caso dei sopracitati programmi da un quarto d’ora. In breve, tali cicli sono drasticamente meno efficienti rispetto a quelli lunghi: a parità di acqua consumata è possibile lavare meno biancheria, basta prendere il manuale d’istruzione di qualsiasi lavatrice per accorgersi di come il carico massimo dei programmi rapidi sia sempre ben inferiore alla capacità massima.

Di certo esiste un trend che porta sempre più consumatori a prediligere lavaggi rapidi, anche a costo di fare lavatrici più frequenti e meno cariche. Sempre citando il sopracitato comunicato stampa della multinazionale che commercializza il prodotto, le loro analisi di mercato hanno evidenziato profondi “cambiamenti nelle abitudini dei consumatori italiani” per cui “oggi, il 52% degli italiani, sceglie cicli di lavaggio rapidi e inferiori ai 30 minuti, almeno una volta alla settimana”. A questo ci credo, la comodità di buttare in lavatrice i panni della palestra appena rincasati è davvero tanta. Per onestà intellettuale c’è pure da dire che gli ultimi apparecchi sono in grado di quantificare il peso del bucato e dosare l’acqua di conseguenza, ma tendenzialmente sarebbe preferibile utilizzare programmi più lunghi sfruttando la massima capacità di carico. Soprattutto per capi tecnici e sintetici, come già scritto più soggetti a rilasciare microplastiche nei cicli rapidi.

Più domande nascono dunque spontanee: è giusto che il mercato segua sempre le esigenze dei consumatori? E stiamo forse andando verso una società che predilige la velocità all’efficienza? Ovviamente né saprei rispondere né me ne assumerei la responsabilità, ma potremmo pensarci su. Per il resto c’è poco altro da aggiungere, agli occhi dei più tuta questa vicenda si risolve solo nel lancio di un nuovo detersivo tra gli scaffali dei supermercati. Che in effetti è cosa vera, come è pur vero che dietro tutto ciò chi riesce a coglierli può rinvenire dei ricami quantomeno interessanti. Detto ciò, l’importante è lavare sempre e comunque i panni sporchi.

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