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Numero chiuso a Medicina, più rischi che opportunità: la polemica di De Luca è fondata

Ciclicamente, le bolle dell’informazione si agitano sul tema della regolazione dell’accesso alla facoltà medicina, un argomento su cui sono certe di scaldare gli animi e guadagnare ascolti e “likes” senza fare particolare fatica.

Numero chiuso a Medicina, più rischi che opportunità: la polemica di De Luca è fondata
Test di ammissione medicina
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23 Settembre 2023 - 16.18 Globalist.it


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di Piersante Sestini*

Ciclicamente, le bolle dell’informazione si agitano sul tema della regolazione dell’accesso alla facoltà medicina, un argomento su cui sono certe di scaldare gli animi e guadagnare ascolti e “likes” senza fare particolare fatica. Questo mese l’occasione è particolarmente ghiotta, perché si è appena svolta una delle nuove prove di ammissione e c’è la possibilità di sfruttare la comprensibile delusione di chi non ce l’ha fatta e gli immancabili pasticci dell’organizzazione dei test. Tanto da far scendere in campo un autentico pezzo da novanta, quel Vincenzo De Luca che, oltre ad avere non comuni abilità teatrali, è indubbiamente uno dei più capaci politici italiani.

Su sua ispirazione, infatti, il Consiglio Regionale della Campania, con accurato tempismo, ha appena approvato all’unanimità una  proposta di legge alle Camere ai sensi dell’articolo 121 della Costituzione, finalizzata alla abolizione delle limitazioni all’accesso ai corsi universitari di area sanitaria. Il testo della proposta non è direttamente accessibile in rete, ma a quanto pare essa prevede che, a decorrere dall’anno accademico 2024/2025, l’accesso ai corsi universitari in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, nonché ai corsi universitari concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione e ai corsi di laurea specialistica delle professioni sanitarie sia libero. Sempre da quanto riferito, dovrebbe essere previsto un meccanismo di selezione “sul campo” nei primi due anni. In pratica, appare ispirato al ricorrente (e per molti versi famigerato) “sistema francese”-

Il percorso della proposta è all’inizio, ma avrebbe già l’appoggio di altri importanti  presidenti di regione come Luca Zaia (Veneto) e Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna) e forse della stessa ministra Bernini.

Vincenzo De Luca, ha dichiarato che l’obiettivo politico di  questa iniziativa è di imporre la sanità pubblica  come prorità assoluta da parte di tutte le forza politiche, per recuperare decenni di mancata programmazione. Se l’obiettivo politico è certamente molto condivisibile (il rafforzamento del sistema sanitario non è stato un obiettivo prioritario dei governi neanche durante la pandemia, quando in teoria il ministero era gestito da un politico della sinistra), il nesso logico fra l’obiettivo e lo strumento scelto lascia più di qualche perplessità.  Le motivazioni addotte sono infatti molto disparate:

1) La preparazione del test, in contemporanea con quella alla maturità, causerebbe agli studenti notevoli problemi psichiatrici, tanto che  “la gran parte di gran parte di quelli che partecipano ai programmi di formazione per il test ha bisogno di assistenza psicologica” e che, in pratica, staremmo “creando decine di migliaia di ragazzi che vanno in depressione”.

2) Ci sono società di formazione che  per assistere i ragazzi alla preparazione del test possono chiedere fino a 5000 o 10000 euro, con “un giro di affari di centinaia di milioni di euro”. 

3) Questo sistema favorirebbe il sistema di caste professionali chiuse che immobilizza l’Italia e che fanno sì che, a differenza di quanto avverrebbe nelle società anglosassoni,  il destino di un giovane sia segnato dalla famiglia in cui si trova a nascere e a vivere.

4) Nei test ci sarebbero quesiti che nulla hanno a che fare con l’anatomia, la diagnostica, la farmacologia ecc o con “il merito, la passione e  i valori reali”. 

5)  Le notizie di possibili scandali ventilati sulla stampa negli ultimi giorni suggeriscono che in Italia non sia possibile organizzare un test che preveda qualche meccanismo di segretezza. 

6) Il sistema sanitario pubblico sta saltando e le regioni del Sud non hanno le risorse per competere con quelle del Nord sul piano della concorrenza per attrarre i professionisti: se la concorrenza si facesse sulla capacità di offrire contratti adeguati, i sistemi sanitari delle regioni del Sud non ce la potrebbero fare: lo squilibrio di risorse rispetto alle regioni settentrionali è troppo grande. 

Per questi modivi, dice De Luca, “oggi abbiamo aperto la battaglia”.

Quando in medicina si usano metafore belliche c’è sempre qualcosa di stonato. Capisco che probabilmente sull’argomento ci sono radicate convinzioni pre-razionali che non c’è modo di contrastare col solo ragionamento, comunque può valere la pena provare a sottoporre queste argomentazioni ad una valutazione critica di merito.

1)  Perché mai i problemi psicologici e lo stress dovrebbero diminuire con un processo di selezione prolungato per ben due anni, al termine dei quali corrono il rischio di averli buttati via o di dover intraprendere una carriera per cui non si sentono portati?

2)  La buona formazione medica oggi è limitata -in Italia- soprattutto dalla organizzazione didattica che costringe a inutili, lunghissime e noiosissime ore passate in aula a sorbirsi chilometri di powerpoint, come se la medicina fosse quella, tutti aspetti che i promotori della proposta tendono ad esasperare, arrivando a proporre come una panacea mega-lezioni a distanza in cinema e teatri.  Per formare medici capaci e motivati oggi invece c’è bisogno di interazione, comunicazione, simulazione, lavoro di gruppo, confronto con problemi, feedback personalizzato. Tutte cose che già ora da noi sono praticate poco e con fatica e che la “soluzione” proposta renderebbe ancora più improbabili.  

L’eperienza francese insegna che le occasioni per le società di formazione con quel sistema non diminuiscono affatto, ma anzi aumentano: esse infatti posono mungere le famiglie non più per pochi mesi, ma per ben due anni. Inserito in una competizione “alla morte”, chi ha le risorse per pemetterselo ricorrerebbe senza esitazione ai costosi ed efficaci servizi di “coaching” e di “mentoring” (in pratica, lezioni personalizzate), delle società di formazione in grado di migliorare le loro prestazioni agli esami, lasciando agli altri la scarna preparazione che le università sarebbero in grado di fornire a una platea così estesa e abbandonata a sé stessa. Lungi dal favorire l’ascensore sociale, quindi, “il sistema francese” non riduce, ma aumenta il ruolo delle diparità economiche.   

3) Il problema principale delle famiglie meno abbienti non è il test di ingresso, ma il costo di affrontare un corso lungo almeno 10 anni (tasse, libri, vitto, affitto, mancati guadagni). A nessuno oggi è impedito di diventare medico, se non per l’inadempienza all’obbligo costituzionale di «rendere effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che dovrebbero essere attribuite per concorso agli allievi capaci e meritevoli anche se privi di mezzi» (Art 34), e che invece ci sono in misura ridicola e che la proposta in oggetto, ampliando il numero di quelli che ne avrebbero bisogno, renderebbe ancora più insufficienti, aumentando il vantaggio dei più ricchi. Quanto alle «caste», certamente le ammistrazioni universitarie, le burocrazie ministeriali o gli Ordini dei Medici non avrebbero motivo di dolersi dell’ aumento delle rette e dei contributi previdenziali.

4) Il test di ingresso attuale ha la funzione di “scremare” gli aspiranti selezionando quelli più capaci di affrontare lo studio, per poi fornire a tutti strumenti adeguati ed assicurarsi che la maggior parte di loro possa raggiungere una formazione adeguata in tempi ragionevoli.  Ovviamente questo tipo di selezione deve essere fatta sulle materie della scuola superiore, non certo su temi di medicina che non hanno mai affrontato a scuola.  E volendo, esistono strumenti largamenti usati nel mondo per valutare anche gli aspetti attitudinali, che in Italia sono volutamente ignorati. Il modello proposto invece non si preoccupa degli abbandoni o dei ritardi, anzi li auspica, prevedendo fin dall‘inizio un tasso di insuccesso che in Francia è attorno all‘80%, un bagno di sangue.

5)  Se il nostro sistema organizzativo/amministrativo non sa o non vuole condurre senza fare pasticci un test di  90 minuti organizzato centralmente, cosa può succedere in una valutazione distribuita su due anni? Che clima formativo si vuole creare? Non si rischia il ricorso al TAR ad ogni appello d’esame? 

6) Questo è l’argomento più politico. In pratica, si dice, i sistemi sanitari delle regioni del Sud hanno bisogno di manodopera a basso costo per sopravvivere. In realtà, i medici in Italia per ora ci sono: siamo ancora sopra la media europea, anche se si ridurranno rapidamente nei prossimi anni con il pensionamento degli ultimi boomer. Il problema per i sistemi sanitari regionali però si è presentato prima, essenzialmente perché non si sono mostrati in grado di offrire prospettive di lavoro soddisfacenti. Tant’è che non solo i concorsi, dopo anni di incerti e umilianti contratti a tempo, sia al Nord che al Sud vanno spesso deserti, ma anche chi già nel sistema sanitario ci lavora spesso lo lascia appena possibile in cerca di un ambiente lavoro più appagante, sia in termini economici che professionali, che spesso trova nell’attività privata. Se dunque il problema è la qualità dell’ambiente culturale e lavorativo, quella proposta sembra una mossa disperata per cercare di eluderlo, creando una massa di giovani un po’ meno preparati ma disposti per pochi soldi a gettarsi allo sbaraglio nelle malmesse ridotte dei sistemi sanitari regionali.

Può funzionare? Certo, siamo un popolo pieno di risorse, nulla ci è precluso e i nostri giovani, validissimi e vitali in barba alla spesso pessima formazione scolastica e sociale, nelle difficoltà spesso danno il meglio di sé. E’ democratico o anti-democratico? Ampliare la platea dei possibili medici fra le classi economiche più svantaggiate sarebbe certamente democratico, se fosse vero. D’altra parte le idee di “selezione naturale” e di “vinca il più forte” sono irrimediabilmente anti-democratiche.  L’importante è che sia chiaro che i costi sociali ed economici, per i giovani e le loro famiglie, in termini di soldi e anni di vita sprecati, possono essere elevati e che c’è un rischio notevole che il nostro sistema formativo e sanitario si allontani ancora di più da una prospettiva europea.  Cosa poi sarà meglio per ognuno, come disse Socrate prima di bere la cicuta, lo sa solo iddio.

* professore dell’Università di Siena 

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