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4 marzo 1947: ultima condanna a morte in Italia

Tre banditi siciliani colpevoli di una tragica rapina che costò la vita a dieci persone, compreso un bambino, furono gli ultimi condannati alla fucilazione. Giorgio Bocca ne fu testimone

4 marzo 1947: ultima condanna a morte in Italia
Memoria
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Marcello Cecconi Modifica articolo

3 Marzo 2022 - 10.21


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C’ è il frate che va da una sedia all’ altra, cui i condannati sono legati, e mormora parole consolatrici che loro non ascoltano rannicchiati come orsi dietro il legno delle sedie, l’ultima illusoria protezione. Un signore in abito scuro, il questore suppongo, fa dei segni perché si affretti l’esecuzione e finisca questa maledetta grana. I soldati del plotone sono nervosi, a uno cade il fucile di mano: allora accorre l’ufficiale comandante con la sciarpa azzurra. Parte la scarica che, nel vuoto della campagna, è appena un crepitio, tanto che neanche i passeri si spaventano. Due dei condannati si afflosciano sulle sedie, Puleo non so come, torcendosi è riuscito a sollevarsi e a gridare qualcosa. Ma cosa? Un collega ha preso appunti. «Che cosa ha gridato?». «Viva la Sicilia indipendente e libera». Passano alcuni anni e mi telefona da Torino, dalla Fiat Mirafiori, un siciliano: «Sono del comitato Sicilia libera, le chiediamo di smentire i suoi scritti su Giovanni Puleo e i compagni uccisi nel complotto anti-siciliano di Villarbasse». «Va bene – dico -, mandatemi del materiale». Non si sono più fatti vivi.”  

4 marzo 1947: gli ultime condannati a morte

Non è un romanzo d’appendice ma le parole di Giorgio Bocca, in Repubblica del 4 marzo 2007, che così ricordava come da ventisettenne cronista della Nuova Gazzetta del Popolo di Torino, esattamente sessant’anni prima, era stato spettatore dell’ultima condanna capitale della storia d’Italia.

Eh sì, Francesco La Barbera, Giovanni Puleo e Giovanni D’Ignoti, rei confessi di una rapina in una cascina di Villarbasse nel torinese, che costò dieci vite compresa quella di un bambino, furono condannati alla pena capitale. La Cassazione respinse la domanda di commutazione della pena in ergastolo e l’allora Capo di Stato, Enrico De Nicola, respinse la grazia. Così la mattina del 4 marzo 1947, alle ore 7,45 ebbe luogo la fucilazione, l’ultima condanna a morte eseguita in Italia per reati comuni.

Ma come, c’era ancora la pena di morte nel 1947 quando ormai era già avvenuta la scelta della Repubblica e stavano per andare alle urne italiani e italiane per le prime elezioni repubblicane? Sissignori, c’era ancora nonostante che le reminiscenze scolastiche ci riportino quasi a due secoli prima, 1786, quando il primo in Europa ad abolire la pena di morte fu il Granduca Pietro Leopoldo di Toscana. Purtroppo però la dominazione francese e le vicende politiche dell’epoca convinsero il suo successore, Granduca Ferdinando III, a ripristinarla appena nove anni dopo. Fu solo nel 1859, alle dimissioni di Leopoldo II ultimo regnante di fatto del Granducato, che il Governo provvisorio della Toscana che stava gestendo l’annessione al Regno di Sardegna, rilevò “che la civiltà fu sempre più forte della scure del carnefice” e formulò la frase “Ha decretato e decreta: la pena di morte è abolita”.

E per questo la Toscana restò eccezione anche dopo l’unificazione italiana che nel fare un compendio unitario di tutte le legislazioni degli stati preunitari, continuò a prevedere la pena di morte. Nel 1889, con l’approvazione del nuovo codice del ministro Giuseppe Zanardelli, la pena di morte venne abolita in tutto il Regno d’Italia fino a quando Mussolini pensò bene di reintrodurla, nel 1926, per punire reati contro lo Stato e che il codice Rocco, qualche anno dopo, estese anche a gravi reati comuni.

La pena di morte restò ancora dopo la fine della guerra con un decreto legislativo di Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, datato 2 agosto 1946, che l’ammetteva per gravi reati come rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, costituzione o organizzazione di banda armata. Fu per questo che i tre banditi siciliani, non graziati da Capo dello Stato, furono giustiziati al poligono delle basse di Stura “dove –racconta Bocca – nei tempi felici dei Savoia, c’era una delle riserve di caccia più vicine alla reggia”. Poi, la Costituzione italiana, che entrò in vigore il 1º gennaio 1948, abolì definitivamente la pena di morte per tutti i reati comuni e militari commessi in tempo di pace

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