di Marcello Cecconi
La situazione in Ucraina è sempre più preoccupante, intricata e difficile da capire. Per comprendere ciò che sta avvenendo oggi bisogna andare indietro con la storia. Per questo abbiamo intervistato Giovanni Gozzini, docente di Storia contemporanea all’Università di Siena.
Che sta succedendo in Ucraina e quali sono le responsabilità dell’Occidente?
Putin nel discorso di qualche giorno fa ha tolto dal tavolo la questione dibattuta negli ultimi mesi: l’allargamento ad est della Nato. Un dibattito che va avanti dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ma lui, nel suo discorso, l’ha superato, partendo dall’anno Mille per affermare che l’Ucraina è Russia. Putin, affermando che l’Ucraina è Russia ha ribaltato la storia perché per molti secoli era esistito il Principato di Kiev, cioè l’Ucraina, mentre a Mosca e a San Pietroburgo c’erano ancora bellissime foreste. Rovesciando il discorso si potrebbe immaginare meglio Zelensky che dice a Putin che la Russia è Ucraina. Così Putin allarga la visione al lungo periodo storico tanto da non far diventare rilevanti l’ampiamento della Nato e della demilitarizzazione, tutte cose sulle quali l’Occidente si è arrovellato. Putin ha asserito che è stato Lenin ad avere una visione sbagliata nel costruire un’unione di repubbliche socialiste autodeterminate al posto di una grande unica Russia: lui vede tutto il mondo slavo unito nella Russia.
Quindi lui non vuole ricostruire l’Unione Sovietica.
No, con Putin si va più indietro del Novecento, il modello è l’impero zarista, anche se a pensarci bene c’è un altro modello più recente che può ispirare: quello di Bin Laden.
Bin Laden?
Mi spiego. Noi sappiamo che la politica ragiona su rapporti di forza, commercio, economia per periodi che non vanno oltre gli ultimi dieci o quindici anni. L’unica altra volta, negli ultimi cinquant’anni, che abbiamo assistito a ragionamenti storici di un lungo respiro cronologico, come ora fa Putin, è stato proprio per la Umma, la comunità dei credenti dell’islamismo con la fine del califfato e di quello che noi chiamavamo l’impero ottomano.
E dov’è il legame?
Ci arrivo. Negli ultimi cento anni la Russia, o l’Unione Sovietica, ha spostato truppe fuori dai confini sempre per effetto del “contagio”. Pensiamo all’Afghanistan di ieri: ecco perché Bin Laden, dopo che nel 1979 Khomeini aveva instaurato la prima teocrazia islamica in Iran. L’allora capo del Cremlino, Brežnev, vide lo stesso pericolo di contagio per le sue repubbliche dell’Asia centrale: Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e l’Uzbekistan a maggioranza islamica e, per questo, decise l’invasione dell’Afghanistan. Potremmo aggiungere l’Ungheria del 1956, la Cecoslovacchia del 1968 e anche Polonia nel 1981.
In questi ultimi casi qual era il contagio che preoccupava?
Il modello di un socialismo più democratico, più liberale, che col tempo avrebbe prima o poi “infettato” tutta l’Unione Sovietica. Se risaliamo al 1945 troviamo ancora lo stesso meccanismo contro il piano Marshall lanciato dagli Usa con 13 miliardi di dollari di aiuti alle nazioni che avevano subito danni nella guerra. Stalin, che a differenza degli Usa, aveva avuto un terzo del paese distrutto e 20 milioni di vittime contro le 400mila americane, non poteva certo competere economicamente con gli Stati Uniti. Si chiuse a doppia mandata con la sua Armata Rossa nella cortina di ferro.
Torniamo a Putin e alla paura del contagio
È questo il vero problema anche per lui. È la paura che la popolazione dell’Ucraina, specialmente la più giovane, corra sempre più verso l’Occidente, dove si vive meglio, dove c’è la musica vera, la libertà, il consumismo. Insomma si può discutere se questo sia vero e sia un bene ma la realtà ci dice che, negli ultimi sondaggi, un 68% degli ucraini erano a favore dell’Unione Europea. E Putin sa che per difendersi da questo contagio alle sue porte non ha arma diversa da quella di Stalin o di Brežnev, cioè il tallone di ferro.
Ma oggi si può ancora usare l’arma di Stalin o quella di Brežnev?
Qui sta la forza e la fragilità dell’attacco di oggi. Non sappiamo come evolverà, ma in questo momento abbiamo l’impressione che la progressione militare russa non sia così rapida come lo fu in Cecoslovacchia o in Afghanistan. Quello che mi ha inquietato è stato quando Putin, alterato, ha lanciato l’appello ai militari ucraini invitandoli a ribellarsi alla “banda di drogati e nazisti che vi governa”. È una spia dell’insicurezza di Putin in quanto tutte le altre volte che la Russia o l’Unione Sovietica era intervenuta da qualche parte aveva pronto il sostituto del presidente in carica in quel paese. Perché in Ucraina no? Eppure fino al 2014 il governo ucraino era nelle mani di Mosca e non si è costruito nessun fantoccio in questi anni?
E quali potrebbero essere i motivi per i quali ciò non è avvenuto?
Due sono le mie ipotesi. La prima deriva dal fatto che Zelensky sia stato molto bravo nel neutralizzare un possibile fantoccio: il presidente ucraino ne ha fatto un velatissimo accenno quando ha fatto sapere di aver arrestato alcuni traditori. Più inquietante è l’altra ipotesi, quella che Putin non avesse in realtà preparato nessun fantoccio e allora viene da pensare a un leader che ha perso contatto con la realtà. Perché andare a prendere l’Ucraina, la nazione più estesa d’Europa con 40 milioni di abitanti, e non avere un leader alternativo da contrapporre a Zelensky vorrebbe dire essere convinto che i carri armati sono sufficienti. O era convinto che, tutto sommato, l’Occidente avrebbe chiuso gli occhi.
Ma c’è stato qualche errore compiuto anche dall’Occidente?
Si. Se lo guardiamo con il senno di poi l’allargamento della Nato è stato un grandissimo errore nostro, intendo dell’Italia, dell’Europa ma soprattutto degli Stati Uniti. L’Occidente ha sbagliato nel momento della deflagrazione dell’Unione Sovietica con un Yeltsin che governava e, per la sua estrema debolezza, era costretto a lasciare in mano agli oligarchi il gas e molta dell’economia del paese che li ha resi ricchissimi e potenti. Finita la guerra fredda finiva anche il motivo d’esistere della Nato. Ecco, quello sarebbe stato il momento di chiudere la Nato e fare un’altra alleanza con inclusione della Russia.
Non sarebbe stato troppo complicato?
No, c’era già uno schema. Helsinki 1975. Lì si fece la Csce (Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa) sottoscritta da trentacinque paesi fra cui Stai Uniti e Unione Sovietica con due semplici principi: primo, le frontiere europee inviolabili e in base a questo principio, secondo, si collaborava economicamente, scientificamente e culturalmente. Quello del 1975 non andò avanti ma era un modello da replicare nel 1991. Ripeto comunque che l’argomento Nato è stato tolto dal tavolo da Putin stesso ma, come sappiamo, la storia si fa anche con i se e con i ma e se allora invece di voler stravincere fossimo stati più lungimiranti la Russia sarebbe stata molto diversa e oggi non avremmo avuto Putin.
Quindi se Putin dimostrerà di non avere un fantoccio per sostituire Zelensky l’obiettivo sarà solo quello del “cordone sanitario”?
E pensare che ce lo aveva il fantoccio. Nel 2014 Janukovyč era un presidente filorusso dell’Ucraina e Putin avrebbe potuto riprovare con lui ma non ha il coraggio di ritirarlo in ballo perché sa che per una grande maggioranza del popolo ucraino sarebbe scelta impopolare. Ecco, questo dimostra proprio la debolezza del disegno di Putin. Si certo, un cordone sanitario perché i lustrini dell’occidente non contagino i giovani russi.
Ma quanto può durare questa difesa dal contagio?
Putin non è un Mandela o un Ghandi che avevano una missione, un popolo dietro di loro. Putin obbedisce solo al criterio della sua sopravvivenza e sfrutta la grande ricchezza del gas e del petrolio investendolo nelle forze armate e creando quel “complesso militare industriale” che esercita un peso e pretende di essere messo alla prova sul campo. E qui subentra il delirio d’onnipotenza. Putin, ripeto, è condizionato da quel ragionamento storico di lungo periodo che lo induce a pensare che l’Ucraina senza la Russia non sia niente e che l‘autonomia concessale sia stata solo artificiale, un errore fatto da Lenin nella sua visione. E invece no, non è così, tutto il mondo se ne sta accorgendo e prende atto della resistenza ucraina. Niente ci assicurava che Zelensky non sarebbe corso a trovare un riparo all’estero e invece un ex attore, ballerino, diventato presidente quasi per caso, è lì sotto le bombe e con lui tanti ucraini, magari poco e male armati, ma ci sono. Un popolo così, che scopre questa forte appartenenza e che sente la solidarietà di tanta parte del mondo diventa un avversario sorprendente. Putin, con il suo attacco, ha consolidato il patriottismo dell’Ucraina e ricompattato la Nato e non ha nemmeno l’appoggio della Cina che resta guardinga. In più ha manifestazioni di protesta in casa che come sempre, per ora, riesce a renderle fioche con lo stesso sistema poliziesco che usa da tempo con il dissenso. Oltre che esterno rischia l’isolamento anche interno.
Quindi la resistenza ucraina può sognare di avere successo?
Certo che l’isolamento di Putin può renderlo “orso” pericoloso e questo mi preoccupa. La frase relativa al nucleare non era mai stata detta nemmeno da Kruscev ai tempi della crisi di Cuba e, se mi ricordo bene, nemmeno da Stalin. I paesi occidentali devono mantenere nervi saldi e dare a quest’uomo una via d’uscita onorevole e non ripetere l’errore del 1991. Le cose possono cambiare ogni giorno ma ad oggi mi sento di dire che è necessario concedere qualcosa a Putin per non dargli la sensazione di tornare a casa umiliato. Anche se questo volesse dire lasciar andare le due Repubbliche autoproclamate e il Donbass.