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Una guerra davvero "ibrida" e difficile da raccontare

Un confronto a più voci promosso dalla Cattedra di Giornalismo e nuovi media dell'Ateneo senese. Studiosi della comunicazione, giornalisti, studenti e docenti di diverse discipline si sono confrontati su propaganda e informazione

Una guerra davvero "ibrida" e difficile da raccontare
In foto un soldato
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redazione Modifica articolo

16 Maggio 2022 - 16.59


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di Giuseppe Aquaro

Quanto la propaganda, la censura e la disinformazione influenzano il modo di vedere e di capire un conflitto? Cosa può fare l’informazione per permettere ai cittadini di cercare di comprendere ciò che realmente sta accadendo? Ha tentato di fornire alcune risposte, o  almeno tracce di ragionamenti,  la giornata di studio organizzata dall’ Università di Siena con un convegno che già dal titolo , “Guerra Ibrida”, permetteva di capire che si sarebbe affrontato il delicato  ruolo che i media hanno sull’invasione russa dell’Ucraina. La professoressa Rossella Rega , ripercorrendo i tanti lavori di ricerca compiuti durante il suo corso di Giornalismo e nuovi media, ha delineato i tratti stando ai quali si può, questa volta, parlare appunto di  prima ” guerra Ibrida”.

Il concetto lo semplifica Giovanni Boccia Artieri, sociologo dell’Università di Urbino: ” Una delle cose che possiamo vedere è come si siano, nella quotidianità, sfumate le configurazioni che, prima, erano distinte tra i produttori istituzionali di contenuti e le persone comuni, allargando quello che oggi possiamo definire come il campo largo dell’informazione”.  Ormai siamo immersi in una valanga di contenuti che arrivano continuamente sui social e che, a loro volta, coinvolgono i nostri sensi, riempiendo i  nostri occhi  di video e foto inedite. «La logica dei meme è utilizzata anche a livello istituzionale e rappresenta una vera e propria strategia comunicativa – continua il docente – ed è proprio così che quel confine tra il basso e gli organi istituzionali sfuma». Questa lenta ma sostanziale dissoluzione del confine, potrebbe determinare una visione confusionaria di ciò che viene condiviso in rete e, di conseguenza, un fraintendimento di ciò che avviene effettivamente sul campo.

Ragionare sugli effetti della guerra o, viceversa, viverla come giornalista sul campo: un gioco degli specchi che ha caratterizzato e reso unico l’intero pomeriggio. Alessio Lasta, giornalista e inviato di “Piazzapulita” (La7),  ha parlato della sua esperienza diretta sul campo, aprendo un accesso dibattito,  derivato proprio dal forte impatto emotivo suscitato dalla sua narrazione. Difficile davvero fare buon giornalismo in tempo di guerra, stando attenti alla verifica delle fonti e a non farsi incastrare nella trappola della propaganda, come ha ricordato lo stesso reporter. Ha ribadito, a questo proposito, che bisogna tenere gli occhi bene aperti per non dar seguito alle informazioni che sono immesse, a scopi propagandistici, sulle piattaforme e sui programmi. Specie su quelli che hanno una maggiore audience.

Questa “ibridazione” del conflitto e, soprattutto, la variegata scelta che il pubblico ha nei confronti dei mezzi di informazione può generare grande confusione e può portare al tranello della disinformazione, cosa abbastanza comune se si pensa alla vastità delle fake news che giornalmente vengono immesse nel web.

Gli interventi della docente di Relazioni Internazionali dell’American University di Roma Irene Caratelli, del docente di Politica Economica della LUMSA di Roma Antonio Nicita e del giornalista di “Internazionale” Andrea Pipino hanno contribuito a un’analisi dettagliata del fenomeno della disinformazione.

Rossella Rega ha ricordato che questo dibattito non è isolato in quanto fa parte di un progetto più ampio che porterà all’attenzione nuovi temi in merito ai media e ai loro ruoli.

Il resoconto completo del dibattito è presente sulla piattaforma YouTube

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