Tre paesi hanno affrontato in modo aperto, nell’ultima settimana, il loro rapporto con un passato poco edificante, in cui governi dell’epoca si erano resi responsabili di torti, omissioni e veri e propri crimini di massa.
Emmanuel Macron qualche giorno fa ha riconosciuto il genocidio dei Tutsi in Ruanda parlando al memoriale per il genocidio di Kigali: “Al vostro fianco con umiltà e rispetto, sono venuto per riconoscere le nostre responsabilità”. Il governo di Mitterand, che Macron non ha comunque riconosciuto complice del genocidio, aveva appoggiato e munito di armi il governo dell’Hutu Power, inviando degli uomini – la cosiddetta Operazione Tourqoise – il cui comportamento fu, se non di collaborazione nei massacri, nell’ignorare mentre venivano compiuti rifiutandosi di aiutare la popolazione in pericolo.
Sempre qualche giorno fa il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha riconosciuto che la Germania a inizio ‘900 ha commesso un genocidio nei confronti delle popolazioni Herero e Nama, nell’attuale Namibia che costituiva allora una colonia tedesca. Al riconoscimento che si sia trattato di genocidio si è aggiunta la donazione di oltre un miliardo di euro di aiuti per lo sviluppo.
Due giorni fa in Canada sono stati trovati in una fossa comune i resti di oltre duecento bambini appartenenti alle tribù indigene che erano stati strappati alle famiglie e affidati in modo coatto alla chiesa cattolica per rieducarli e integrarli facendo perdere loro ogni traccia dell’identità indigena. Questa scoperta è il risultato più drammatico delle indagini partite dopo la pubblicazione, alcuni anni fa, della relazione della Commissione per la Verità e la Riconciliazione creata appositamente per far luce sui drammi e le tragedie del passato coloniale.
Due considerazioni nascono da queste notizie giunte più o meno contemporaneamente. La prima è che c’è ancora molto da fare per scoprire i crimini commessi dal colonialismo, su cui sarebbe opportuna un’iniziativa comune dell’Europa e dei paesi occidentali che ne sono stati responsabili. La seconda che l’Italia brilla, a dispetto del succedersi da decenni di ogni colore politico, per il silenzio e la rimozione delle pagine più buie e criminali della propria azione coloniale, sia in Libia che in Etiopia e durante la seconda guerra mondiale. Un primato che non ci fa onore e dovrebbe spingere a seguire – perlomeno – la strada intrapresa da Francia e Germania e, con molta più coerenza e decisione, dal Canada.