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"Culo nero": quando un nigeriano diventa bianco il mondo è diverso

A. Igoni Barrett con un romanzo godibilissimo ha rielaborato in chiave africana autori come Kafka e Dostoevskij. E ci parla di questione razziale, migrazioni, colonialismo

"Culo nero": quando un nigeriano diventa bianco il mondo è diverso
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5 Gennaio 2018 - 00.03


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Rock Reynolds

 

“Avevo sedici anni e, in una città della Nigeria, e leggevo Kafka, Dostoevskij, Gabriel Garcia Marquez e il vostro Vasco Pratolini. Sapevo che non avevano scritto per me, eppure mi immedesimavo nelle loro parola, sapevo che stavano parlando al mio cuore. Così, quando mi sono messo a scrivere, pur sapendo di essere un autore nigeriano che scriveva del suo paese, di una realtà poco conosciuta nel resto del mondo, mi sono detto: chissà che qualcuno, da qualche parte, legga quello che scrivo e si immedesimi nelle mie storie. In fondo, se è capitato a me con Kafka e Dostoevskij, perché non può succedere a un lettore americano con i miei libri?”
Leggere per credere, mi verrebbe da dire. Culo nero (66thand2nd, traduzione di Massimiliano Bonatto, pagg 233, euro 16) di A. Igoni Barrett è il primo romanzo di un autore che potrebbe far parlare tanto di sé, ma che, per il momento, si fa leggere con gusto. Coniugando l’arcobaleno dai mille colori dell’Africa con una padronanza appassionata dei classici internazionali della letteratura, Barrett prende spunto da Le metamorfosi di Franz Kafka per trascinarci nelle tragicomiche avventure di Furo Wariboko, un giovane spiantato che, la mattina in cui deve presentarsi a un importante colloquio di lavoro che potrebbe cambiargli la vita, scopre davanti allo specchio di essersi svegliato bianco e con gli occhi chiari. Peccato che lui sia in tutto e per tutto un nigeriano di colore. Ma questa straordinaria novità lo accompagnerà alla scoperta di un nuovo mondo interiore, di una nuova consapevolezza di sé, allo sfruttamento del tema del colore della pelle.

Le giornate di Furo, che scompare dal radar della sua famiglia senza lasciare traccia di sé, si arricchiscono di personaggi strampalati e di figure che solo in un paese in crescita esponenziale come la Nigeria di oggi, soprattutto nella fagocitante metropoli di Lagos – ma potrebbe tranquillamente esse una delle tante megalopoli di un paese in via di sviluppo – risulterebbero credibili e che, in effetti, sono reali. La prosa modernissima e, malgrado tutto, ricca di riferimenti ai classici europei, come se Barrett ci tenesse a rivendicare un livello di erudizione che esula strettamente dagli studi fatti in patria, alleggerisce la narrazione, rendendola davvero godibile. Mi domando a chi abbia pensato Barrett creando la figura femminile di Syreeta, una specie di ninfa, di donna ambigua e in carriera in una città in cui le tentazioni sono ovunque, ma, forse, un melange di eroine classiche e non sembra l’ispirazione più plausibile, anche se Barrett, figlio di uno scrittore giamaicano e di una madre nigeriana, ha le idee chiare su una cosa. “Sono figlio di una madre single, dato che i miei genitori si sono separati quando io avevo dieci anni, e sono sempre stato attorniato da donne forti. Mia madre era una donna forte e nei miei scritti metto sempre una figura del genere”.

Barrett: “Il nostro futuro è tutto da scrivere”
La Nigeria di oggi è uno stato di duecento milioni di persone, in rapida crescita. “Siamo una nazione giovane, con un futuro tutto da scrivere. Esistiamo da una sessantina d’anni e, prima che i colonizzatori inglesi decidessero di unire sotto un’unica bandiera nazionale tante realtà tribali e tanti staterelli, non avevamo certo un’identità nazionale. Gli inglesi, come facevano spesso le potenze europee nelle colonie, facevano meno fatica a governare un vasto territorio se c’era un governo centralizzato ed è così che è nata la Nigeria. Ancor oggi in Nigeria si parlano circa trecento lingue diverse. Alcune sono davvero diversissime e, dunque, paradossalmente l’elemento unificante più forte è stato ed è la lingua inglese, ovvero la lingua degli invasori. Ma è una buona cosa. Almeno una cosa buona l’hanno fatta.”
Di Kafka e dell’influenza diretta de Le metamorfosi abbiamo parlato, ma chissà dove avrà pescato Igoni Barrett la bizzarra ma efficacissima idea di lasciare che una piccola parte del personaggio principale, Furo, restasse immune al radicale sbiancamento: il fondo schiena. “Mi è parso interessante sul piano narrativo rappresentare l’orrore di Furo nello scoprire di essere diventato bianco nel corso della notte. E lo dico fin dalla prima pagina. Ma è pure interessante vedere la sua reazione quando, poco più avanti, scopre di avere il culo ancora nero. Solo lui lo sa e questa può essere un’arma importante. Il tema del pregiudizio razziale, da voi molto sentito, è fin troppo trascurato in Nigeria. Per i nigeriani, il problema razziale semplicemente non esiste. Neppure nei circoli intellettuali – dove inizio a essere alquanto conosciuto e dove qualcuno ha accolto benissimo il mio romanzo e qualcun altro meno, ma anche questo è un fatto positivo, considerato che il dibattito è la miglior cosa che potessi attendermi – si accetta che anche da noi esiste uno strisciante problema razziale. La verità è che esiste e come e che non parlarne finisce per peggiorare le cose. Infatti, l’atteggiamento dilagante è quello di una sottomissione e inferiorità supine alla razza bianca. A forza di strombazzare ai quattro venti che la maggioranza di colore non vesserà mai la minoranza bianca, i neri si autoconvincono di una loro supposta inferiorità genetica. Ecco che, dunque, Furo scopre di essere bianco e ne approfitta, ma non sa esattamente quale sia la sua nuova identità. Il problema dell’identità è molto forte in Nigeria.”
Vero è che in Italia si sente parlare di Nigeria ultimamente solo quando l’ennesima malefatta di Boko Haram fa il giro del mondo. “È buffo scoprire che si parla tanto di Boko Haram all’estero, perché in Nigeria se ne parla pochissimo e, addirittura, talvolta a Lagos veniamo a sapere di ciò che questo gruppo fondamentalista ha combinato nel nord del paese dalla Cnn e dalla Bbc. Un paio d’anni, ci fu un momento in cui pensavo che, se le cose fossero peggiorate ulteriormente e Boko Haram avesse conquistato altri territori, presto sarebbe venuto anche al sud. Fortunatamente, il nostro nuovo presidente, che di sciocchezze ne ha fatte tante, ha però un merito: quello di aver progressivamente ricacciato indietro i terroristi. Boko Haram non rappresenta più un rischio per l’integrità del paese che, al contrario, facendo fronte unico contro tale organizzazione ha rafforzato la democrazia. Semplicemente, con il tempo, la Nigeria imparerà a trattare la cessazione definitiva delle ostilità, così come l’Occidente intero prima o poi imparerà a smantellare il terrorismo fondamentalista attraverso la via negoziale. L’unica conseguenza vistosa della presenza di Boko Haram nel sud del paese la si nota agli incroci delle strade di Lagos, dove ci sono tanti bambini mendicanti. Sono tutti in fuga dal nord e si notano immediatamente perché da parecchio tempo di accattoni per le strade non se ne vedevano più.”
Sarà vero che anche in Nigeria imperano i modelli della cultura popolare occidentale, soprattutto americana e inglese? In fondo, tra le pagine di Culo nero di riferimenti se ne trovano parecchi. “Oh, sì. D’altra parte, oggi la Nigeria sta vivendo un momento di grande crescita, con una fortissima urbanizzazione e un lento ma irreversibile processo di ampliamento della classe media. È un rinascimento culturale che, però, non è del tutto privo di effetti collaterali. E quale ragazzino, persino in Nigeria, non dispone oggi di uno smart phone e di un accesso a Internet? Basta un clic ed ecco che appaiono le foto di una bella località italiana e le immagini suadenti di uno stile di vita, quello europeo, dal forte appeal. ‘Anch’io voglio vivere così, anch’io voglio andare in Europa’. Così ci sono due tipi di emigrazione dal mio paese. Una sanissima, quella di molti esponenti della borghesia che vanno a studiare in Canada, negli Usa oppure in Inghilterra e che finiscono per fermarvisi a lavorare. Ci sono medici nigeriani in Arabia Saudita, professori nigeriani in Inghilterra e scienziati nigeriani alla Nasa. Hanno un regolare permesso di soggiorno e spesso sposano donne e/o uomini del posto e sono perfettamente integrati. E poi c’è un’altra emigrazione, purtroppo simile a quella di molti altri disperati africani. Si tratta di gente che è delusa del proprio paese, del proprio governo, che non ha un lavoro e sente di non avere un futuro, che magari è pure minacciata ogni giorno dai terroristi. E cosa succede quando la situazione si fa umanamente insostenibile? Succede che gli esseri umani fanno la cosa più umana che ci sia: vanno altrove, in posti in cui sperano di poter condurre un’esistenza più dignitosa e in cui poter dare un futuro ai loro figli. Ma le insidie sono terribili: chi è pronto a sobbarcarsi i pericoli di un attraversamento della zona subsahariana e poi delle acque infide del Mediterraneo e approda, magari, in Italia, si trova spesso a mal partito, in una realtà ben diversa da quella sognata. Per questo, dico a voi italiani di avere pazienza, di essere comprensivi. Io stesso quando passo dall’Italia e vedo certi miei connazionali allo sbando, non li riconosco. Erano abbruttiti quando hanno abbandonato la Nigeria e i ripetuti rovesci in cui sono incappati nel difficile viaggio e in cui sono piombati nuovamente in un paese che non li vuole e che li guarda con diffidenza li ha abbruttiti ancor più.”

“L’Europa dovrà tornare in Africa e non da colonialista”
Ma Furo non ha questi problemi. Lui vive in una sorta di mondo da fiaba, per lo meno pensa che la sua metamorfosi possa fargli assaporare cose che, fino a poco tempo prima, gli erano precluse. “Vero, ma Furo è comunque un figlio della Nigeria moderna. Io capisco bene le lusinghe del mondo occidentale. E capisco anche che sia difficile per chi vive in un paese come l’Italia accettare che ci siano persone di un mondo completamente diverso che aspirano a condizioni di vita dignitoso, condizioni che talvolta in Africa – non necessariamente in Nigeria che, ripeto, è una nazione in grande crescita – sono una chimera. Tutti quei nigeriani della massa derelitta che tentano la fuga disperata in Europa, in realtà non aspirano a fermarsi in Italia, bensì hanno il miraggio di ottenere un permesso di soggiorno nel Regno Unito o negli Usa, permesso che praticamente nessuno di loro ottiene, frustrandoli ulteriormente. Ma ricordate che sono stati gli europei a cercare approdo in altri continenti, dai tempi di Colombo in poi. Sono stati gli europei a venire in Africa e a colonizzarla per depredarla delle sue ricchezze. Oggi, cessata l’epoca coloniale, gli europei in Africa ci vengono da turisti, con viaggi di lusso, per fare la luna di miele e, magari, scattarsi un bel selfie sorridente. Ma il riscaldamento globale avanza e, quando le città europee finiranno sott’acqua, gli europei torneranno in Africa. Potete starne certi.”

 

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