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"Blue Sunday": i professionisti e la febbre della domenica sera

Il fenomeno, ovvero l'ansia e la nevrosi del ritorno al lavoro, colpisce quasi tutti i ceti medio-alti, rendendoli infelici e con aspettative irrealizzabili nei confronti dei fine settimana. I dati di una ricerca realizzata da Linkedin.

"Blue Sunday": i professionisti e la febbre della domenica sera
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Irene Perli Modifica articolo

26 Giugno 2023 - 13.23


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Che strano pianeta è il nostro. C’è chi per cercare lavoro, azzarda la vita in zattere precarie pur di arrivare nei paesi del “benessere” dove trovare casa e, magari alloggio. C’è chi corre come un pazzo con la bici per le vie delle città per consegnare pizze  e pagarsi, così, gli studi.

E c’è chi il lavoro già ce l’ha ma si stressa troppo e viene  così colto da una nuova sindrome, la “Blue Sunday”. E’ una strana sindrome che colpisce principalmente i professionisti, cioè coloro hanno il lavoro e che magari è anche ben retribuito.

La febbre della domenica sera, verrebbe da dire. A raccontarci questo nuovo assillo delle classi medio-alte è Linkedin, il portale che si è fatto promotore di una ricerca che sta facendo discutere: l’incubo che assale questi lavoratori al solo e pensiero di dover ritornare alla frenesia settimanale. Lo studio di LinkedIn dimostra, infatti, che l’80% percento dei professionisti sperimenta la famosa ansia della domenica.

I dati mostrano che la percentuale raggiunge il 91% tra i millennial (coloro che sono nati tra il 1980 e il 1996), e aumenta fino al 94% tra la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012). C’è un dato rassicurante: la percentuale è inversamente proporzionale all’età: invecchiando l’ansia della domenica diminuirà. Che si relativo al fatto che i più anziani sono in pensione? Probabile.

E mentre in Italia si stipulano contratti da 40 ore settimanali, che richiedono comunque straordinari (nella maggior parte dei casi non pagati), in altri Paesi si sta testando addirittura la settimana lavorativa di 4 giorni, che, secondo gli studi, non solo migliorerebbe la salute psicofisica della persona, ma anche la produttività dell’azienda. Islanda, Spagna, Giappone e Nuova Zelanda hanno già avviato dei progetti sperimentali che hanno generato risultati estremamente promettenti.

Il fenomeno del Blue Sunday spesso deriva dall’abitudine di vivere la settimana lavorativa senza pause e senza tempo per noi stessi. Il weekend viene quindi visto come un dovere, un arco temporale all’interno del quale siamo costretti a divertirci, vivere e staccare dalla pesante settimana lavorativa che è appena passata. “Indimenticabile” è la parola d’ordine da conquistare in questi due giorni (a volte uno solo) di pausa. Spesso si pensa di poter fare cose straordinarie, senza tener conto della realtà: abbiamo bisogno anche di risposare. Le eccessive aspettative verso il fine settimana e la FOMO (Fear Of Missing Out) sono la ricetta perfetta per perpetrare lo stress e la frustrazione.

È necessaria quindi ripensare un modello di lavoro e di vita, scansando quel fenomeno che impone il “nobil sacrificio” perché “più lavori e più velocemente raggiungerai i tuoi obiettivi” imposta dalla società. Di questo si discute da decenni ma il fenomeno s’è acuito dopo la fase pandemica. Il problema è che una volta trovato un lavoro si diventa quasi automaticamente competitivi e, aggrappati alla terribile sensazione di precarietà,  si  finisce per accettare tutte le condizioni che i datori di lavoro ti impongono pur di continuare a lavorare.

Questa scarsità nei posti di lavoro (specialmente quelli con un contratto dignitoso) mette da parte la questione dell’equilibrio fra vita lavorativa e vita privata, che sembra essere un fantasma in Italia. È necessario, invece, gridarlo a voce alta; abbiamo bisogno di un cambiamento e di una regolamentazione che ci protegga dal “burnout”. L’agenda del governo è già tanto piena. E spinosa. Ma anche questa è una questione che prima o poi dovrà finire sui tavoli di Palazzo Chigi e di Bruxelles.

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