È da qualche mese nelle librerie un volume che piace segnalare: esplora l’Africa ed esplora il genere umano attraverso la parola e la fotografia, che sta tra il reportage e la narrazione, che restituisce il senso di sentirsi “estraneo” a un luogo quando lo si visita per poco. A differenza di tanti libri di europei sul continente, stavolta questo volume indicato come “romanzo” (Lo sguardo di uno sconosciuto, Francesco Brioschi editore, 226 pagine, 18 euro, prefazione di Teju Cole, traduzione di Gioia Guerzoni) è a firma di un autore africano. È di Emmanuel Iduma, nigeriano, narratore, scrittore di non-fiction, saggista che ha riversato in queste pagine il frutto di incontri e viaggi in luoghi come Dakar, Douala, Benin, Khartum, Lagos, Casablanca, Rabat, Bamako. Nel viaggio compoiuto tra i suoi 22 e i suoi 26 anni e in gran parte finanziato perché ne scrivesse Iduma ha coperto una ventina di tappe, per lo più nell’Africa occidentale, che almeno in parte ha potuto raggiungere grazie a un progetto per scrittori, “Invisible Borders”.
“In ogni nuova città Emmanuel Iduma raccoglie reliquie, souvenir, immagini per colmare le distanze e conservare i ricordi. Spille, portachiavi, cartoline. Ma soprattutto raccoglie incontri. Artisti, scultori, facchini, poliziotti, mendicanti, migranti, tassisti, su ognuno di loro lo sguardo del viaggiatore si posa per scattare una foto”, sintetizza l’editore. “Emmanuel Iduma ci fa scoprire, con una serie di fotografie e una voce dolcemente malinconica, il dolore della separazione e il conforto dell’incontro con l’altro, creando un ritratto onirico e al contempo estremamente realistico dell’Africa moderna”.
Nato nel 1989, figlio di una maestra e di un predicatore, docente di scrittura alla School of Visual Art di New York, fondatore della rivista letteraria Saraba, Iduma ha anche curato il padiglione nigeriano alla Biennale di Venezia del 2017. In queste pagine di viaggio e foto il testo diventa una forma di diario tanto su sé stesso come su una variegata umanità formata dalla guida, dall’artigiano, da un grande fotografo cieco, il maliano Malick Sidibé (1936-2016), dalla guida, dal traduttore. Scrive tra l’altro Iduma: “Viaggio sotto le nuvole della sera, nel cielo ocra. La prima parola che vedo è marché […] è qui la prima volta che esco dalla Nigeria – sulla strada polverosa che porta fuori Kousseéri, a venticinque chilometri da N’djamena – che capisco di aver oltrepassato il confine del linguaggio. Se potessi mostrare il mio viso, si vedrebbero i solchi e il cipiglio di un osservatore muto”.
Sulla rivista online Afrologist, per l’uscita dell’edizione originale in inglese, un anno fa Veronica Sgobio in un’intervista all’autore scriveva parole utili a comprendere il libro: “È un viaggio grazie a emozioni, pensieri e posti che non sono ristretti a luoghi specifici. È anche una meditazione personale a proposito di transitorietà e dolore; i modi in cui muoversi può e non può guarire”. E su un tema inevitabile osservava: “Mentre viaggiavo, la migrazione è diventato un tema scottante. Dal momento che tendo a scivolare via dall’ovvietà, volevo trovare un modo per parlare di migrazione e dei pericoli di attraversare l’Europa senza farne un libro sull’argomento”.
Da Uno sguardo di uno sconosciuto (titolo originale A Stranger’s Pose) è stato ricavato un cortometraggio sotto il titolo di Here Comes a Stranger del Villah Collective.