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Sophie Hannah, il thriller femminile inquieta sulle colline del Devon

Madre e figlia in fuga dal pericolo in un romanzo senza stereotipi della scrittrice inglese “Non fare domande”

Sophie Hannah, il thriller femminile inquieta sulle colline del Devon
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10 Agosto 2019 - 15.27


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di Enzo Verrengia

Le voci femminili nel thriller sono sommesse ma inquietanti. Non cercano il clamore della sparatoria o l’esibizione di muscoli dell’intrigo d’azione. Piuttosto, scavano in profondità dietro le facciate dei personaggi e dei rapporti che intrattengono fra di loro, fino a scovare le ragioni profonde dei delitti e delle loro conseguenze. Ne era un esempio perfetto Agatha Christie, che infondeva a Poirot il genio del discernimento tipico di una donna. E in termini diversi Patricia Highsmith, il cui fatalismo inesorabile delle trame non è altro che capacità di penetrazione nei territori nascosti della specie umana.
L’inglese Sophie Hannah costituisce la variante 4.0 di questa specificità. Poetessa, oltre che autrice di narrativa, i suoi romanzi dilatano la psicologia nell’infinito di un universo di peccati e di svolte inattese da cui non ha scampo soprattutto chi la legge. In più, travalicano gli stereotipi del costume e della società inglesi per protendersi tridimensionalmente in quella che ormai da decenni si definisce “condizione postmoderna” e riguarda tutte le società avanzate.

La nuova casa sembra un paradiso
Si prenda Non fare domande. Qui la Hannah mette in discussione la più radicata certezza della borghesia urbana proiettata ancora, nonostante la crisi infinita, verso magnifiche sorti e progressive: l’inviolabilità del nucleo abitativo.
Una casa si profila all’orizzonte della nuova vita che ha scelto Justine, in fuga da Londra, sovradimensionata per il suo bisogno di raccoglimento interiore e serenità. La nuova residenza in cui si trasferisce è Speedwell House, un po’ decrepita eppure attraente, specie per le colline del Devon che le fanno da sfondo. Il buon retiro dove Justine conta di trovare quello che i buddisti definiscono nirvana, l’affrancamento dal male di vivere. Con lei c’è la figlioletta Ellen, allegra, estroversa, vivace, catalizzatrice di speranze, attese e prospettive della madre.

La scoperta sconcertante
Per quattro mesi, Speedwell House mantiene tutte le promesse attribuitele dalle nuove inquiline, con una comunione panica fra l’habitat e la natura circostante. Poi Ellen subisce una rapida metamorfosi. Incupita, diviene la portatrice di quell’indagine nell’oscurità di cui sono maestre, come detto all’inizio, le narratrici di thriller.
Non si tratta però di un semplice cambio d’atmosfera che prelude al solito minestrone horror. A Speedwell House sono stati commessi crimini efferati che, inaspettatamente, Justine trova elencati in un saggio d’inglese della ragazzina. La scoperta, già sconcertante di per sé, precede l’inizio di una serie di telefonate che frantumano il nirvana della casa di campagna e del Devon. Solo che non ci si deve aspettare, anche in questo caso, il prevedibile deragliamento della vicenda nello splatter.

Motivazioni recondite
Il pericolo che incombe su Justine ed Ellen ha motivazioni recondite che Sophie Hannah decifra pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, senza lesinare affondi di puro e insostenibile crescendo malefico. Così, in maniera più avvincente che nel noir classico, madre e figlia sono costrette a una fuga per la sopravvivenza nella quale i rispettivi caratteri si precisano con un intarsio stilistico da cui emerge appieno la robusta dotazione letteraria di Sophie Hannah.

Sophie Hannah, Non fare domande (Garzanti, tr. di Serena Lauzi, pp. 407, Euro 19,60)

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