di Luisa Marini
Una bambina nasce nell’acqua del mare di fronte a Napoli. “Come la chiamiamo?” Grida il padre. Il Capitano Achille Lauro allarga le braccia e decide: “Parthenope!”, l’antico nome della colonia greca prima della “Nuova Polis”. E si dipana il mito. Della giovinezza, della ricerca delle domande e delle risposte giuste, della comprensione di sé, dello sguardo sulla varia umanità che popola la città, ricca ma in realtà povera e annoiata, povera ma ricca perché vitale.
Il mare è protagonista, la luce accecante inonda gli spazi e scopre la bellezza della natura, superiore come una dea, in contrasto con le miserie umane. Napoli diventa un luogo dell’anima.
Una carrozza antica e preziosa, regalata per la nascita dal Capitano, ricorda quella del Titanic, forse simbolo del viaggio della giovane (Celeste Dalla Porta, uscita dal Centro Sperimentale), che qui dorme e seduce, spiata e desiderata dal fratello e dal primo amore, come faranno nel corso della storia tutti gli uomini che la incontreranno senza comprenderla mai, tranne il suo professore di università (un Silvio Orlando in stato di grazia), che le propone subito: “Io non la giudicherò mai. Lei non mi giudicherà mai. Le piace questo patto?” e che sarà il suo mentore.
Sorrentino non giudica infatti la sua protagonista, ma la macchina da presa la segue semplicemente, incantata dalla sua spontanea sensualità.
L’amore esiste, o è solo nei libri? Lei cerca di capirlo, legge, studia, si fa domande, è intelligente e sfacciata, ha sempre la risposta pronta perché le piace provocare, ma non usa mai la sua bellezza per ottenere qualcosa. Il suo sguardo sul mondo è puro e attento, rispecchia una malinconia dolce e, a sua volta, non giudica mai, ma accoglie e cerca di comprendere. Uno sguardo che ricorda la giovane Sandrelli in “Io la conoscevo bene” di Antonio Pietrangeli. E infatti, a ricordare la propria vita, è la Parthenope matura, interpretata dalla stessa attrice, che ripercorre per flashback i punti nodali della sua biografia.
Parthenope si ascolta e cerca la sua strada. È bellissima; che, quando hai quell’età, è naturale come l’aria che respiri. Ma non solo: è determinata e capace di scegliere per sé, incontrando vari personaggi: a Capri l’anziano scrittore americano (John Cheever, interpretato da Gary Oldman) e il giovane facoltoso (Gianni Agnelli?); dopo il suicidio del debole fratello, che segna una cesura nel film, a Napoli il giovane camorrista che la mette incinta nella stessa acqua marina dove è nata (ma poi abortirà), l’insegnante di recitazione che tenta di sedurla (interpretata da Isabella Ferrari, che ricorda le donne velate di Magritte), l’attrice Greta Cool (ossia la Sofia Loren di Luisa Ranieri) che si lancia in una acre invettiva contro i propri concittadini, il vescovo Tesorone (Peppe Lanzetta), dissacrante, che incarna simbolicamente la perdita di innocenza della protagonista; infine, il figlio del suo professore, tenero mostro di carne, acqua e sale, “come il mare”.
Sorrentino ci interroga: sappiamo ancora vedere? Cosa scegliamo di ricordare, cosa è stato importante per noi?
Pare suggerirci che la giovinezza, anche se la perdiamo esteriormente, rimane per sempre dentro di noi, se non la soffochiamo.
Parthenope ha vissuto e selezionato, si è spogliata del superfluo. Torna a Napoli, alla fine, e fa pace con sé stessa. Possiamo essere giovani per sempre.
Sapete come si fa? Vedendo il futuro, sempre.