La robotica ha smesso per qualche minuto di essere soltanto tecnologia e ha iniziato a parlare direttamente con le persone. È accaduto durante il workshop “Human Robot Augmentation: A User-Centered Perspective” a Roma, premiato come Best Workshop alla Conferenza I-RIM 3D 2025 su robotica e macchine intelligenti, un riconoscimento che supera il valore scientifico e tocca il rapporto profondo nei gesti quotidiani tra esseri umani e macchine.
L’incontro è stato ideato e condotto dal team dell’Università di Siena composto da Maria Pozzi, Tommaso Lisini Baldi, Gionata Salvietti, Monica Malvezzi e Domenico Prattichizzo, e pone al centro dei lavori una domanda apparentemente semplice e al tempo stesso rivoluzionaria: cosa succede quando un robot diventa parte di noi? Ricercatori, clinici e tecnologi hanno discusso se un arto robotico possa essere percepito come parte del proprio corpo, come cambia il controllo motorio quando si coordinano arti naturali e artificiali e quale ruolo debba avere l’utente nella progettazione di dispositivi capaci di ampliare, sostenere o restituire capacità.
La testimonianza di Alessandro Bondi, paziente che utilizza quotidianamente tecnologie assistive sviluppate dal gruppo senese, è stata tra le più toccanti. Bondi ha condiviso non solo l’aspetto tecnico, ma soprattutto l’impatto umano delle soluzioni che usa, ricordando a tutti perché la robotica non è solo laboratorio, algoritmi e motori, ma anche vita, esperienza, identità, possibilità.
Accanto a lui, gli interventi di Andrea d’Avella, Loredana Zollo e Bernardo Brogi hanno costruito un dialogo che ha intrecciato neuroscienze, robotica indossabile, percezione corporea e sperimentazione avanzata, mentre la dimostrazione dal vivo curata da Brogi ha reso visibile ciò che spesso rimane astratto, offrendo un nuovo modo di immaginare l’interazione tra uomo e robot.