Chi non hai mai avuto a che fare con le catene di Sant’Antonio? Dai Boomer alla Generazione X tantissimi sono quelli che hanno inoltrato preghiere, lettere e cartoline portafortuna. Oggi il loro significato è cambiato, queste catene sono diventate un’invito all’azione sociale sui temi più disparati. Le più attuali manifestano e diffondono dissenso sui conflitti in atto, primo tra tutti quello a Gaza, e invitano a compiere una disconnessione e un silenzio digitale diffuso in grado di essere notato dai leader mondiali.
Molti si fanno domande sull’efficacia di questo mezzo e a questo proposito la filosofa e fondatrice di Tlon, Maura Gancitano, ha dichiarato all’Ansa: “Diciamo che è da qualche anno assistiamo a una crescente diffusione di manifestazioni simboliche digitali, gesti collettivi che cercano di trasformare la partecipazione in un’azione condivisa, accessibile e visibile. Si tratta di rituali brevi, replicabili e facilmente diffondibili che a volte sostituiscono forme tradizionali di protesta o di associazionismo, e questo accade per varie ragioni, tra cui il fatto che danno modo di partecipare anche a chi non può scendere in piazza, a chi vive in provincia e in piccoli centri, ma così può sentirsi parte di una comunità che non rimane indifferente. In alcuni casi riescono a costruire attenzione mediatica e a mobilitare persone che altrimenti resterebbero ai margini”
E ancora “L’efficacia dipende molto dal contesto e da vari fattori. Senza dubbio la sola azione simbolica digitale ha un impatto limitato se non è accompagnata da altre forme di pressione, ma quando diventa parte di una strategia più ampia può innescare un cambiamento” Riguardo alla predominanza tra obiettivo e coinvolgimento la Gancitano ha affermato: “Contano entrambe le cose, anche perché l’obiettivo spesso è fare da massa critica e mostrare quanto sia diffuso il sentiment collettivo su una determinata questione”
Su questo fenomeno sono state effettuate anche delle ricerche: “Negli ultimi 15 anni sono state fatte molte ricerche, e di solito concludono che se non c’è un’azione concreta, per esempio tramite vie politiche e istituzionali, non si raggiunge l’obiettivo. Per me rimane comunque una questione: è vero, si tratta di forme di attivismo semplice che non comportano la manifestazione pubblica e l’incontro tra le persone, ma il ‘successo’ dipende anche da quanto politica e istituzioni riescono a farsi carico delle richieste”
Sulla responsabilità del riscontro, spesso negativo, di queste forme di ‘micro attivismo’ a causa del silenzio delle istituzioni ha dichiarato: “Il caso eclatante oggi in tutto il mondo riguarda Gaza: l’opinione pubblica ne parla moltissimo, la politica non ascolta. Ma questo riguarda anche tematiche molto più piccole e semplici come la tassa sugli assorbenti, per dire. Queste forme di attivismo manifestano anche la difficoltà di un dialogo con la politica.
Si tratta di nuove strade alternative spesso usate tra le persone più giovani, che hanno la sensazione che qualcosa possa accadere solo nella società civile e non attraverso i canali politici tradizionali. Credo che queste manifestazioni non vadano ridimensionate, né va attribuito a loro il cambiamento, ma quello che si può aggiungere è che sempre più persone sentono un bisogno di comunità e di impegno sociale che – per varie ragioni – può essere difficile realizzare. La politica dovrebbe osservare tutto questo e domandarsi come intercettare questo bisogno”