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ChatGPT: 122 milioni di utenti e solo il 5% paga

È più del 95% degli utenti quotidiani che sfrutta la versione gratuita del chatbot più diffuso al mondo. Gli investimenti sulle AI sono esorbitanti, ma il tornaconto è minimo. Al via tentativi per far crescere il business delle intelligenze artificiali, dalle inserzioni pubblicitarie ai “Companions”

ChatGPT: 122 milioni di utenti e solo il 5% paga
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23 Luglio 2025 - 18.25


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Erano tre anni fa quando venne presentato sul mercato quello che sarebbe diventato il chatbot più diffuso al mondo, ChatGPT. Si tratta di un momento significativo, perché da allora sono state investite ingenti quantità di denaro per investire e sviluppare queste tecnologie; solo per quest’anno, si stima che verranno impiegati più di 300 miliardi di dollari, se non di più (Meta, ad esempio, ha dichiarato di voler spendere «centinaia di miliardi» per costruire nuovi data center).

Cifre esorbitanti ma necessarie perché il modello linguistico dei software è estremamente avanzato, così come i data center che ne permettono il funzionamento e il personale che deve essere specializzato. Tuttavia, nonostante i profumatissimi investimenti, il 95% dei 122 milioni di utenti giornalieri di ChatGPT non ha sottoscritto un abbonamento, sfruttando così la versione gratuita messa a disposizione e, di rimando, impedendo una reale crescita economica sostenibile del business delle AI. 

Troppo alti i piani a pagamento (23 euro mensili il Plus e 229 l’anno il Pro di ChatGPT, mentre 20 mensili e 90 annuali per Claude di Google Gemini) gli investimenti vengono tutti da professionisti, programmatori e utenti curiosi. Per questo sono state viste come opportunità di monetizzazione non tanto gli abbonamenti, quanto le inserzioni pubblicitarie inserite tra le risposte o programmi di affiliazione stretti con siti di e-commerce.

Si pensa, dunque, ad opportunità di crescita economiche differenti, fra cui anche il rapporto ad personam con i chatbot: Meta e xAI, nuova azienda di Elon Musk, hanno pensato a programmare dei bot con cui poter avere conversazioni intime e private, dei “companions” per cui, forse, gli utenti sarebbero disposti a pagare. 

Ogni offerta, tuttavia, non giunge con i suoi rischi, perché una tale personalizzazione, intrattenimento e intimità possono incentivare flussi di ragionamenti non sani che, anziché essere bloccati, vengono alimentati. Esempio, purtroppo, quello di un suicidio di un quattordicenne che, aprendosi a chat intime con Character.AI, non è stato indirizzato a contattare linee anti-suicidio, ma quasi convinto dal bot a cui aveva raccontato i propri problemi mentali e di salute.

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