di Agostino Forgione
“Lui è qui”. È questa una delle celebri battute del film del Signore degli Anelli divenuta un iconico meme per anni impazzato sul web. La frase, nello specifico, si riferiva a Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor, venuto a conoscenza di dove si trovasse la Compagnia dell’Anello. Scremando dall’analogia con uno dei più grandi villains del filone fantasy, lo stesso può essere detto di quello che oggi è più famoso modello di linguaggio, ergo ChatGPT.
Nel giro di pochi mesi ChatGP è riuscito ad attecchire trasversalmente tra coloro i quali sono digitalmente alfabetizzati e nei più disparati ambienti. Il motivo è presto detto: ottenere informazioni per mezzo del chatbot è sensibilmente più veloce che farlo per mezzo di un motore di ricerca come Google. Basta con lo scegliere quale risultato di ricerca aprire per poi divincolarsi tra banner, pop-up pubblicitari e testi spesso volutamente ridondanti per arrivare non senza un certo investimento cognitivo alle poche frasi che ci interessano.
Grazie alle Intelligenze Artificiali (AI) conversazionali è possibile evitare tutto ciò: si può chiedere qualcosa tipo “Qual è la differenza tra i tappi in sughero e quelli in platica” per ottenere una risposta chiara e concisa in un tempo sensibilmente inferiore. Glissando su quando abbia senso ricorrere al loro aiuto e quando attingere a delle risposte già bell’e pronte sia invece rischioso, quest’articolo si concentra su uno specifico aspetto: come gli studenti universitari utilizzano ChatGPT.
Come spesso accade in ambito tecnologico, mentre i comitati didattici e chi di dovere deliberano su se e come introdurre le AI nelle università, gli studenti già le utilizzano ampliamente. Questo risulta evidente semplicemente facendo un giro nelle biblioteche e nelle aule studio: sui pc degli universitari la schermata di ChatGPT è sempre più presente, indipendentemente dal corso di studi. È bastato guardarmi attorno per rendermene conto. Ma per cosa e in che modo viene utilizzato? Grazie a un sondaggio ho raccolto delle interessanti risposte.
Partiamo dall’attività per cui viene usato maggiormente: gli studenti ricorrono a ChatGPT per lo più per ottenere spiegazioni su concetti poco chiari. Ecco alcune delle risposte più frequenti: “Lo uso per studiare concetti non totalmente chiariti dalla spiegazione del professore”; “Per comprendere alcuni argomenti non capiti dai libri di studio” o “Per avere spiegazioni sui determinati concetti”. Riferitamene a questo genere di utilizzo gli studenti valutano l’utilità di ChatGPT più che positivamente: chiedendo loro quanto sia utile nello studio universitario da 1 a 10 il punteggio medio è di quasi 7,5. Un grande traguardo per una tecnologia ancora in fase sperimentale.
Come già evidenziato la AI risulta molto utile anche in ambito informatico: è quanto affermato da uno studente della laurea magistrale in Finanza che con appagamento la usa per programmare. L’utilità del chatbot è invece solo sufficiente per una studentessa in Lettere moderne che vi ha ricorso per la ricerca di fonti. L’unico giudizio negativo è giunto da uno studente di Comunicazione che, utilizzando ChatGPT per imparare termini in inglese colloquiale, valuta negativamente la sua utilità nella sfera universitaria.
Traendo le conclusioni, i modelli linguistici sono già entrati a gamba tesa nelle routine di studio degli universitari e deliberare su se abbia senso utilizzarli, probabilmente, è cosa anacronistica. Un po’ come quando ci si chiedeva se avesse senso introdurre i pc nelle scuole. Come dovrebbero comportarsi, dunque, le istituzioni? A parere di chi scrive facendo ciò che ha più senso quando ci si rapporta con una nuova tecnologia: alfabetizzando la società su come funzioni in modo da delineare come utilizzarla con efficienza e criterio.