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Leonardo Sciascia a teatro: la complessità di “Una storia semplice”

Al Teatro Vittoria di Roma il regista Giovanni Anfuso porta in scena l'ultimo romanzo del grande scrittore siciliano, con Giuseppe Pambieri sdoppiato nel ruolo

Leonardo Sciascia a teatro: la complessità di “Una storia semplice”
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

22 Marzo 2023 - 16.07 Globalist.it


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Trasporre un’opera narrativa in arte scenica non è operazione semplice. Diverse le tecniche compositive, differenti i modi di esposizione di un contenuto, la modalità con cui ci si rivolge ad un pubblico. Il tentativo di Giovanni Anfuso, che ha adattato e sta dirigendo per il palcoscenico Una storia semplice, l’ultimo romanzo di Leonardo Sciascia, appare però riuscito, forse anche grazie alla dimensione intrinsecamente teatrale della scrittura dell’artista di Racalmuto. La prima rappresentazione – una coproduzione Attori&Tecnici e del Teatro Stabile di Catania – è andata in scena il 21 marzo al Teatro Vittoria di Roma, dove rimarrà sino al 26, con una compagnia che ha come punta di diamante Giuseppe Pambieri, che già si era cimentato con lo scrittore siciliano una decina di anni or sono, in Todo Modo, insieme a Paolo Ferrari. Ad affiancarlo un gruppo di validi attori, Paolo Giovannucci, Stefano Messina, Davide Sbrogiò, Liliana Randi, Carlo Lizzani, Geppi Di Stasio, Marcello Montalto, Luigi Nicotra e Giovanni Carpani.

Per riuscire nell’intento, Anfuso ha affidato un doppio ruolo a Pambieri, che oltre ad interpretare l’anziano professore Carmelo Franzò – uno dei personaggi più cari al suo autore, e ruolo che fu di Gian Maria Volonté nel suo ultimo film italiano, per la regia di Emidio Greco – riveste anche quello di narratore, colui che detta i tempi dell’azione, ne chiarisce e sottolinea i significati, che insomma assume la voce di Sciascia, alternando due postazioni ai due lati della scena, come a osservare gli eventi da punti di vista differenti.

In tal modo si recupera in parte il complesso sistema segnico e metaforico del romanzo, e si porge allo spettatore una vicenda dalle fosche tinte gialle tutt’altro che “semplice”, dove un omicidio pare un suicidio, e realtà e apparenza sono nodi complicati da sciogliere. Inoltre, il regista (coadiuvato da Matteo Munari) è ricorso ad un espediente del teatro classico greco, supportando il racconto con una sorta di coro: a turno i personaggi ripetono frasi della voce narrante, sottolineando e commentando l’azione, che poi prende vita nell’autentica dimensione drammaturgica del dialogo, in una continua rifrazione di concetti e tesi, che così acquistano una maggiore pregnanza anche simbolica. La grande presenza scenica di Pambieri, la consolidata capacità di modulare i timbri della voce, le espressioni, i gesti, l’abilità nel giocare con i registri – drammatico, ironico, grottesco – permettono quindi allo spettacolo di trasporre in scena la ricchissima prosa di Sciascia, alternando momenti d’una comicità sardonica ad altri di tensione, nell’inesausta ricerca della verità.

L’idea scenografica, curata da Alessandro Chiti, è volutamente minimale: una grande libreria, come a richiamare la passione di Sciascia per la lettura, la sua grande cultura; delle piccole scrivanie e delle sedie a rappresentare l’ufficio di un commissariato e d’un giudice istruttore, una struttura rettangolare con una porta che raffigura una villa, una scala buia che conduce su un solaio: come nel vero teatro, è l’immaginazione a riempire gli spazi, con la parola. Minimaliste le musiche di Paolo Daniele, con accordi in minore e rade note di piano dall’intensità modulata a seconda della tensione, i costumi demodé di Isabella Rizza (l’azione si svolge sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso, ma gli abiti paiono anche più antichi, come a raffigurare un tempo che tende a cristallizzarsi), e le luci virate sui toni bianchi di Pietro Sperduti.

La regia ha scelto di accentuare l’elemento ironico del testo di partenza, con punte nel grottesco e financo nel macchiettistico, ed è grazie alla misurata ed elegante recitazione di Pambieri che lo spettacolo evita facili derive. Ma la pièce rende appieno la critica feroce di Sciascia alle storture della nostra società, delle nostre istituzioni, il grido inascoltato per l’affermazione di un’autentica giustizia, mai soddisfatta. E ancora, i temi cari allo scrittore siciliano, con il dimidiante dissidio tra realtà e apparenza, tra la recita in cui tutti siamo impegnati quotidianamente nelle nostre esistenze e la verità dei fatti, spesso indicibile e che si manifesta in grovigli difficili da sbrigliare, la fede nella forza della ragione.

Ammirevole l’assoluta aderenza voluta da Anfuso al linguaggio del romanziere, persino ai suoi tempi: la rappresentazione dura un’ora e un quarto, più o meno quanto la lettura del testo originale. Un lasso di tempo speso davvero bene per chi assisterà allo spettacolo.

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