Gli italiani non sono tornati al cinema. Incassi crollati, sale vuote o addirittura con le saracinesche abbassate “Mancano all’appello dai dati Cinetel che monitorano il mercato italiano ben 500 schermi su i circa 3600 che abbiamo, riferiti a 1300 strutture. Andiamo verso un drammatico -20% e se non si prendono provvedimenti presto l’esercizio è a rischio e pure il settore “, dice il presidente dell’Anec Mario Lorini che rappresenta gli esercenti. “Sono urgenti iniziative strutturali di sostegno, prima fra tutte la definizione ‘dinamica’ della finestra tra la distribuzione in sala e sulle piattaforme, 90 giorni potrebbe essere un primo fondamentale passo e poi c’è bisogno di una road map certa e condivisa sui passi da fare per cambiare rotta”, aggiunge.
L’Anec ha convocato oggi un incontro anche per chiamare all’unità tutto il settore: dagli attori – è intervenuto Fabrizio Gifuni in rappresentanza di Unita – ai distributori, con il presidente Luigi Lonigro. I dati sono abbastanza brutali: gli incassi del cinema e pure le presenze hanno avuto una flessione nel 2021 rispetto agli ultimi anni pre- pandemici: si è perso oltre il 70%, in un mercato “già tradizionalmente debole rispetto all’Europa”. Dice Lonigro: “oltre che presidio culturale le sale sono un presidio industriale, ne va del lavoro di tanti e se continua l’emorragia si chiude”. Le sale sono avamposti nei territori, sono luogo di socialità, sono importanti per la ripartenza economica e vanno difese, è l’appello di tutto il settore. Ma sono ancora così centrali in un’epoca che in due anni ha visto uno stravolgimento delle abitudini con spettatori inchiodati al divano, prima per obbligo sanitario e ora per scelta? “Lo spettatore – riflette Lorini – è disorientato: dal tanto prodotto, dall’offerta ridondante delle piattaforme, per questo crediamo che mettere ordine sia fondamentale. Eravamo già vicini ad un accordo, pensiamo che 90 giorni tra l’uscita in sala e la programmazione sulla piattaforma siano un passo iniziale”. Ma se sul cinema italiano ci si può arrivare, l’ostacolo grande è per il cinema internazionale, per quanto la richiesta è di avere la stessa finestra. ‘Caso’ italiano significa anche caso di film italiani:
quest’anno, e i dati non lasciano margine agli equivoci, il nostro cinema è andato male, performance bassissime in sala:
delle 353 uscite, 153 erano made in Italy e la quota di incassi intorno appena al 20%, concentrata poi su solo 5 titoli, “i restanti film non sono stati visti, capiti, intercettati”, aggiunge. Ma la contraddizione attuale è che la produzione va alla grande: 900 progetti di film , per quanto il 30% ideati per le sale. Le ‘sirene’ delle piattaforme si fanno sentire: sono tantissimi i talenti, da Ficarra e Picone con Incastrati, ai fratelli D’Innocenzo, che stanno sperimentando la serialità.
C’è il ragionevole sospetto che come i talenti anche il pubblico non faccia più tanta differenza tra film e serie ed è chiaro che questo cambiamento culturale favorisce il luogo dove tutto si trova, ossia la piattaforma, che pure era nata solo per la tv ed è finita, come si vede anche dal film più nominato agli Oscar ossia Il Potere del cane, 12 candidature e una visione possibile solo su Netflix senza aver mai fatto un affaccio in sala, per diventare tra gli imprescindibili potenti player della produzione cinematografica. “L’unico strumento – ragiona Lonigro – è l’esclusività. La sala di colpo ha perso questa sua prerogativa e solo un intervento politico forte può cambiare e cose. I legislatori devono decidere con i fatti se la sala è un presidio forte o no, produttivo, economico e sociale. Occorre la volontà politica di salvaguardare questo luogo fisico, e regole subito”. Poi si passerà ad altro: ingressi senza mascherina come già accade altrove, popcorn come appena deliberato, promozioni forti per gli under 18, alfabetizzazione scolastica, nuovi spot, e infine cambiare in multiprogrammazione e dunque rendere più duttile la programmazione delle sale è una mossa che già trova tutti d’accordo. La sala ha bisogno di tornare cool (come è ora il teatro ad esempio), ma è una sorta di Squid Game, se non si riesce si muore o perlomeno si accetta di non essere più il luogo centrale che abbiamo vissuto.