di Lucia Mora
La frusta musicale di oggi non può che essere dedicata ai Fab Four, dopo il legittimo fragore suscitato da The Beatles: Get Back. Per chi non lo sapesse, è appena uscita su Disney+ una docuserie curata da Peter Jackson – sì, proprio quello del Signore degli Anelli – che riporta in vita il mitico quartetto britannico: circa otto ore (ricavate da un totale di sessanta) di riprese inedite, girate da Michael Lindsay-Hogg nel 1969 e rimaste chiuse in un caveau per cinquant’anni. Dopo quattro anni di lavoro, Jackson dà alla luce un documento di grande importanza storico-artistica che racconta le sessioni di prova e di registrazione di Let It Be negli studi di Twickenham. I Beatles come non si sono mai visti, cioè da vicino e privatamente.
Chi non ha molta voglia di guardare ore e ore di riprese di Paul, George, John e Ringo, ma vuole comunque dedicare qualche attimo alla loro memoria, può continuare a leggere le prossime righe: vedremo un loro disco imperdibile e un altro che tutto sommato può anche passare in sordina senza che l’universo ne risenta.
Abbey Road (1969)
Sì, è vero: la copertina di questo disco rientra tra le immagini più blasonate di sempre. I Beatles che camminano sulle strisce pedonali si sono visti ovunque e di solito quando una cosa, qualsiasi cosa, ottiene così tanto successo a livello planetario, fa quasi automaticamente storcere il naso alla critica, affezionata com’è ai prodotti di nicchia. Abbey Road però è, nonostante tutto, un gran bel disco. Le tensioni tra Lennon e McCartney erano già sul punto di esplodere: John non avrebbe neanche considerato brani come Maxwell’s Silver Hammer o come Oh! Darling, entrambe creature di un Paul sempre più imperante sulle volontà del gruppo. Tuttavia, quando due geni si scontrano, il capolavoro è pressoché garantito. Un po’ come sarebbe poi accaduto tra Waters e Gilmour nei Pink Floyd, mutatis mutandis. La garanzia di qualità è poi ancora più facile da prevedere, quando il tecnico di studio porta il nome di Alan Parsons. Oppure quando, oltre a Lennon e McCartney, c’è anche un certo Harrison a comporre canzoni. La sua Something – collocata in questo disco come seconda traccia – era e resterà immortale. Parola di Frank Sinatra, che negli anni ‘80 la definì «la più grande canzone d’amore degli ultimi cinquant’anni». Infine, musicalmente parlando, il Medley che chiude Abbey Road è probabilmente una delle vette più alte toccate dai Beatles.
Beatles for Sale (1964)
Non esattamente un disco indimenticabile, come già accennato. Anzi. Beatles for Sale è il quarto album in soli due anni ed è proprio così che si presenta all’ascolto: un’uscita forzata, dettata dal mercato (il ferro della loro fama andava battuto finché era caldo) e pertanto evitabile. Il titolo stesso è ironicamente profetico, da questo punto di vista. Circa la metà del disco è composta da cover poco riuscite, così come poco ispirate sono le restanti canzoni inedite, a loro volta influenzate da altri artisti come Bob Dylan (che in quegli anni era un vero e proprio punto di riferimento per i Beatles, soprattutto per Lennon). Fortunatamente si trattò di un semplice scivolone: già dall’anno successivo, con Help! e soprattutto con Rubber Soul, i Fab Four torneranno in carreggiata.