Quasi tutta l’Italia è come un pozzo senza fondo che ogni tanto – quando cioè ci sono fondi che permettano alle maestranze di scavare – lascia emergere un suo tesoro.
È notizia di qualche giorno fa che a Vada (frazione di Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno) e a Luni (in provincia di La Spezia) sono emersi,da una campagna di scavi terminata a fine ottobre e promossa dall’Università di Pisa, una vasca rivestita in marmo, un mosaico con un motivo a cubi prospettici policromi, un portico colonnato dove sono state rinvenute anche due sepolture e una taberna con una vasca per l’ammollo di merci che lì venivano vendute. Secondo la professoressa Simonetta Menchelli, che ha condotto il lavoro sul campo svolto nell’ambito del progetto “Porti altotirrenici di età romana”, i ritrovamenti sarebbero databili agli inizi del I secolo d. C. Inoltre, durante gli scavi, si sono svolte attività di “Archeologia pubblica”: laboratori didattici e ricostruzioni storiche che hanno ottenuto un’ottima risposta di pubblico.
La vasca rivestita in marmo riscoperta a Vada era probabilmente destinata a un uso pubblico. Si tratta di una costruzione che è stata frequentata fino all’età tardo-antica e che serviva a collegare il quartiere portuale meridionale con quelli residenziali settentrionali. In età antica, Vada era il centro del sistema portuale di Volterra (di qui il nome Vada Volaterrana, che avrebbe assunto in età etrusco-romana) e un’importante stazione della via Emilia, lungo la costa toscana.
La storia di Luni è altrettanto antica. Nacque come colonia romana nel 177 a. C. con il nome di Luna. Serviva come avamposto militare per le legioni durante la guerra tra Roma e i Liguri Apuani. Per gran parte dell’età imperiale, fu un importante porto e snodo commerciale grazie alla vicinanza con le Alpi Apuane dalle quali veniva il richiestissimo marmo bianco. Durante la campagna di scavi – che si è concentrata su due domus già precedentemente portate alla luce – sono riemersi pavimenti a mosaico con dei cubi prospettici, una porzione di portico con colonne in mattoni che doveva delimitare il giardino interno di una domus (nel quale sono tra l’altro rinvenute due sepolture di età longobarda) e infine una taberna pavimentata in argilla con una struttura in mattoni che probabilmente era una vasca in cui venivano immerse le merci messe in vendita.
Il progetto “Porti altotirrenici di età romana” ha coinvolto nella direzione dei lavori anche la dottoressa Silvia Marini e i dottori Paolo Sangriso, Rosso Marchesini e Domingo Belcari. Agli scavi hanno inoltre partecipato i dottorandi e gli studenti dei corsi di laurea in Scienze dei Beni culturali, di Archeologia e della Scuola di Specializzazione in Archeologia. Ha dato infine il suo contributo per le ricostruzioni ambientali il professore Stephen Carmody, della Troy University, Alabama (Usa).