Un personaggio controverso (fasciocomunista) ma schietto e genuino. Antonio Pennacchi, vincitore del Premio Strega nel 2010 con “Canale Mussolini”, è morto a 71 anni. Lo scrittore “fasciocomunista” ha avuto un malore nella sua abitazione di Latina. Prima di dedicarsi alla scrittura, Pennacchi era stato operaio all’Alcatel Cavi.
Pennacchi non aveva mai smesso di combattere per l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, fondamentale in tutta la sua opera, e contro l’ingiustizia che lo faceva arrabbiare anche a 70 anni.
La sua vita
Nato a Latina nel 1950, Pennacchi si è dedicato alla politica prima nelle file del Msi e poi in quelle del Partito marxista-leninista Italiano. Tra gli anni ’70 e ’80 ha aderito al Psi, alla Cgil e poi alla Uil.
Nel 1983, durante un periodo di cassa integrazione, si è laureato in Lettere e Filosofia per abbracciare poi la carriera di scrittore. Il debutto nel 1995 con “Mammut”, seguito da “Palude”. Storia d’amore, di spettri e di trapianti.
Nel 2003 ha pubblicato “Il fasciocomunista: Vita scriteriata di Accio Benassi”, romanzo autobiografico da cui nel 2007 è stato tratto il film “Mio fratello è figlio unico”, diretto da Daniele Luchetti.
Ma il successo era arrivato nel 2010 con “Canale Mussolini” con cui ha vinto il Premio Strega ed è entrato nella cinquina del Premio Campiello. Nel romanzo ripercorreva la storia di una famiglia contadina, i Peruzzi, sradicata dalla sua terra d’origine nella bassa padana per andare nell’agro pontino. Su questa terra, bonificata dalla malaria negli anni del fascismo, arrivano molti coloni dal nord, emiliani, veneti e friulani, insieme ai Peruzzi, capeggiati dal carismatico e coraggioso zio Pericle, fascista.
Ha firmato poi “Storia di Karel” (2013), “Camerata Neandertal”. “Libri, fantasmi e funerali vari” (2014), “Canale Mussolini. Parte seconda” (2015), “Il delitto di Agora” (2018), rivisitazione del thriller “Una nuvola rossa” pubblicato nel 1998, e “La strada del mare” (2020).
Ecco Pennacchi in uno scontro televisivo del 2016 con Salvini, sulla sanità lombarda, dove dimostra il suo carattere
Accanito fumatore, dai modi bruschi, considerato uno dei maggiori scrittori italiani, Pennacchi aveva scritto nel gennaio 2021 una lettera aperta a Giorgia Meloni in cui diceva: “Cara Giorgia ti prego: dite di sì all’unità nazionale. Dopo la seconda guerra mondiale e quella di liberazione, le forze socialcomuniste e cattoliche – da sempre acremente divise – seppero trovare quel minimo di concordia necessario a costruire assieme l’unità del popolo, una costituzione democratica repubblicana e il conseguente miracolo economico degli anni cinquanta e sessanta che portò l’Italia ad essere, dal Paese povero e sottosviluppato che era prima, la quinta o sesta potenza economica mondiale panico di adesso”.
Certo, più volte, negli ultimi anni, aveva sottolineato che oggi abbiamo perso quella passione che c’era nella politica. “La gente pensava fosse giusto interessarsi della cosa pubblica. C’erano ancora le ideologie e, forse sbagliando, la certezza di costruire un mondo migliore. Questo lo abbiamo perso, ma è necessario recuperarlo”.