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Francesco Motta, un cantautore tra il pop e il folk

Un artista nato e cresciuto in Toscana ma adottato dai romani. Perchè ascolta una musica che è fresca, ma non modaiola

Francesco Motta, un cantautore tra il pop e il folk
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15 Luglio 2021 - 12.08


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di Linda Salvetti

 

In un’era soggiogata dalla musica rap, trap e poi così via da tutte le sue varianti, dall’urban al latin, a sentire del cantautorato italiano in radio nel 2021 è solo questione di fortuna. Che pure rappresenta una delle più belle e potenti forme della nostra italianità. Così, per fortuna o per caso, nell’inverno 2018 ascoltai “La nostra ultima canzone” di Francesco Motta, in arte semplicemente Motta. Per fortuna mi è andato a genio. Ecco perché l’ascolto, ecco perché lo propongo in questa carrellata di musica da ascoltare.  Anche le sue origini sono bizzarre: è nato a Pisa ( nel 1986) ma è  cresciuto a Livorno per poi  essere adottato da Roma. Cantautore poliedrico che suona molti strumenti che scrive canzoni pop con incursioni nel rock e nel folk. Per la cronaca, solo per la cronaca, va aggiunto che è sposato con l’attrice Carolina Crescentini.

 

Singolare anche la sua capigliatura: dai lunghi e scompigliati ricci, che ricorda quella di Jim Morrison – di cui quest’anno si sono celebrati i 50 anni dalla morte – Motta è stato autore e cantante della band punk-new wave Criminal Jokers, poi con il tempo ha scelto la carriera da solista. Il suo album d’esordio “La fine dei vent’anni”, prodotto dal cantautore romano Riccardo Sinigallia, è stato pubblicato a marzo del 2016. Così apprezzato dalla critica, da vincere nello stesso anno il Premio Tenco come Miglior Opera Prima; e poi, da partecipare come headliner ad alcuni tra i maggiori festival alternativi italiani: il MI AMI, il Siren Festival di Vasto, lo Sherwood Festival, l’Indiegeno Fest e Il TOdays Festival di Torino.

 

“La fine dei vent’anni” è un disco fortemente autobiografico, così come tutte le sue canzoni che raccontano di sfide e passioni, di maledizioni e illusioni della vita contemporanea, ma anche di politica e sociale. Da “Mio padre era un comunista”, un elogio d’amore alla sua famiglia, a “Ed è quasi come essere felice”, il racconto di uno straniamento e poi l’accettazione di sé, da “Sei bella davvero”, dove canta di una donna transessuale a “Dov’è l’Italia”, presentata a Sanremo nel 2019, un richiamo alla riflessione sui migranti e su tutti coloro che sono alla disperata ricerca di un porto sicuro:“Come quella volta a due passi dal mare/ Fra chi pregava la luna / E sognava di ripartire/ L’abbiamo vista arrivare / Con l’aria stravolta di chi non ricorda cos’era l’amore / E non sa dove andare / Da quella volta nessuno l’ha più vista / Dov’è l’Italia, amore mio? / Mi sono perso.”

 

 

 

“Vivere o morire” è il titolo del suo secondo album, uscito nel 2018; stavolta coprodotto con l’ingegnere del suono Taketo Gohara e Pacifico come una sorta di supervisore dei testi. Anche con questo disco raccoglie la targa Tenco come miglior disco dell’anno. Un racconto senza protezioni, in cui Motta mette a nudo se stesso e la sua voce, come musicista e autore tra percussioni intrecciate ad archi, e poi come uomo. “Livorno è una città strana / Piena di gambe nude e personalissime posture / Dei silenzi di mia madre. Vivere o morire / Aver paura di dimenticare
/ Vivere o morire / Aver paura di tuffarsi, di lasciarsi andare e di lasciarsi andare.”

 

Dietro il suo ultimo disco, “Semplice”, uscito nell’aprile di quest’anno, c’è uno sguardo al presente, la capacità del cantautore di tornare e uscire dall’avanguardia, e un’attitudine a vivere una vita d’una spontanea libertà espressiva, eliminando il superfluo. “Semplice come la paura di conoscere me stesso, come ripetere una cosa che ho già visto”, cita nella canzone intorno cui gira la poetica dell’intero album. Un progetto tutt’altro che semplice: se per i primi due dischi, Motta affida la copertina a un suo ritratto, qui il suo volto scompare per lasciare spazio alle sue canzoni; il suono è stratificato con protagonisti gli archi, violini, viola e violoncello, fra cantautorato puro e rock, in cui non mancano anche chitarre e percussioni. Molti sono i riferimenti, fra questi Radiohead, Lou Reed, The Cure e poi, Francesco De Gregori e Luigi Tenco. E molto resta ancora da scoprire del suo universo creativo. Andiamo ai concerti prima che arrivi una nuova pandemia.

 

“Ed è quasi come essere felice” dall’ album del 2018 “Vivere o morire”

 

L’articolo fa parte dell’iniziativa #Unamusicaintesta ideata dalla redazione di Culture. Globalist. Si rimanda alla lettura degli articoli precedenti.

1) Articolo introduttivo di Manuela Ballo: “Le canzoni non raccontano più               storie?”

2) Articolo sui BTS di Elena La Verde: ” I Bts, gli idoli del pop Coreano”

3) Articolo su Colapesce e Dimartino di Marcello Cecconi: “Colapesce e                    Dimartino non        son mica nati ieri”

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