Il centesimo compleanno di Edgar Morin, grande filosofo e sociologo francese nato l’8 luglio a Parigi, viene celebrato oggi con una conferenza di fronte a una platea dell’Unesco, l’organizzazione dell’Onu per la cultura, dove Morin parlerà per una quarantina di minuti oggi 2 luglio, alle 18, della sua opera e del suo pensiero dalle dimensioni internazionali.
I media e gli studiosi francesi hanno anticipato questo evento celebrando Morin e la sua grande carriera come intellettuale in Francia. Promotore del “pensiero della complessità”, un tema discusso, ambiguo e mai superficiale, Morin – di famiglia ebrea originaria di Salonicco – costruirà il suo discorso su un tema che verrà taciuto fino a quando il filosofo non prenderà parola per concludere il dibattito sul suo pensiero. Gli anni vissuti da Morin sono stati ricchi di esperienze, vissute allo stremo, cominciando dalla Resistenza. In quel periodo, il nome di battaglia scelto “Morin” rimpiazzò il nome di battesimo Edgar Nahoum. In questi anni fece la conoscenza di François Mitterrand che diventerà presidente socialista; l’incontro lo fece avvicinare ed unire al Partito comunista, da cui verrà espulso nel 1951 a causa di un articolo che provava l’avversione di Morin per lo stalinismo. Nel frattempo, divenne membro del Cnrs, il Centro nazionale della ricerca scientifica, suscitando grande interesse per le sue divulgazioni come “Autocritique”, pubblicato nel 1959 e che racconta della sua espulsione dal Pcf, il Partito comunista francese. A gettare le fondamenta per la costruzione del suo pensiero sarà “Le Rumeur d’Orléans”, un’opera realizzata una decade dopo e basata su un fenomeno di antisemitismo in Francia scaturito da una “falsa notizia” senza basi, ovvero la sparizione di ragazze in camerini per la prova di abiti di negozi appartenenti ad ebrei.
Predecessore della “sociologia del presente” Morin, muovendosi dal cinema alle nuove tecnologie, dallo sport ai mutamenti sociali, si è posto come scopo quello di annientare le barriere tra le discipline: “più noi conosciamo l’umano – come riporta in un volume dei sei tomi della sua opera fondamentale, scritta in 30 anni, “Il Metodo” – meno lo comprendiamo. Le dissociazioni fra discipline lo frammentano, lo privano di vita, di carne, di complessità e certe scienze ritenute umane lo svuotano persino della nozione di uomo”. Per Morin è necessario superare anche il dualismo natura-cultura e questo fu il tema cardine di un’altra sua opera, un saggio del 1973 “Le paradigme perdu: la nature humaine”. Nel corso del 1989 compì un viaggio nella storia e nella realtà della sua famiglia con “Vidal et les siens”, il cammino di suo padre Vidal Nahoum tra l’esilio, l’arrivo a Marsiglia durante la Prima guerra mondiale e la naturalizzazione in Francia.
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