Quante volte, in questi ultimi terribili anni, ci siamo sentiti “assediati”. Chiusi in casa, braccati da un nemico invisibile. Assediati, appunto. Quando ho visto il libro di Duccio Balestracci ho pensato che questo stato dell’animo gli avesse suggerito lo spunto per il nuovo libro che affronta, appunto, il tema dell’assedio. Non è così, non si tratta dell’uso di una metafora come escamotage per parlarci dell’oggi: è proprio un libro sugli stati d’assedio dal Medioevo all’età moderna; una serie di ” storie senza gloria dei momenti di gloria, com’è detto nell’introduzione (Stato d’assedio, il Mulino, pgg.372, 25 euro). Non poteva che esser così poiché l’autore ha insegnato per lunghi anni Storia medievale nell’ateneo senese e a più riprese, seppure in maniera meno organica, avesse affrontato il tema delle guerre e delle battaglie in quell’epoca. Basti pensare a uno dei libri più conosciuti, quello sulla battaglia di Montaperti.
A ben guardare, leggendo le pagine del volume ci si accorge che non è propriamente agli aspetti più legati alle pratiche della guerra il tema sul quale il libro s’intrattiene. E lo storico stesso lo puntualizza quando gli chiedo di parlarne un po’, di entrare più nel merito delle complesse pagine, avviando la conversazione. ” È vero: non ho privilegiato, volutamente, l’aspetto polemologico – precisa – Ci sono eccellenti studi su questo versante. Solo per la storia medievale basterebbe ricordare i lavori di Aldo Settia per renderci conto che temi quali le tecniche, le macchine, le tattiche di assalto e così via sono stati ben analizzati e descritti”.
Lo storico: “Volevo capire le reazioni psicologiche a un assedio”
L’autore ha scelto volutamente di privilegiare altri aspetti che finora, elle tradizionali narrazioni degli assedi, sono state spesso messe ai margini o dimenticandole o accennandole solo in sottotraccia. È andato a cercare altri aspetti, altri temi: “M’interessava in maniera particolare – commenta – cercare di capire come si reagisse psicologicamente a uno stato d’assedio. Ma anche come si ponessero, di fronte alle difficoltà dell’assedio, gli assedianti stessi, per i quali le criticità non sono, in genere, affatto minori rispetto a quelle di chi è assediato. Si trovano ad affrontare problemi di approvvigionamento o di acquartieramento, quando soprattutto l’assedio si protrae a lungo, rendendo la vita degli assalitori non meno difficile di quella degli assaliti”.
Cosa passa nella mente degli assediati?
Che cosa passerà nella mente degli assediati? E quali reazioni hanno di fronte alla nuova situazione che si trovano a vivere? La curiosità m’induce a porre a Duccio Balestracci domande che appassionano noi giornalisti ma che sono, invece, lontane dalle passioni dello studioso. Risponde secco: “Macché. Una parte del libro è dedicata proprio a questo. La prima reazione che si ha, da parte degli assediati, di fronte alla “catastrofe” di un assedio è di ricostruire una sorta di “normalità”. Quella normalità che si è perduta. Le cose che avvengono nella Sancerre ugonotta, assediata dai cattolici nel 1573, sono le stesse che si registrano durante la prima fase dell’assedio di Sarajevo in anni a noi vicinissimi. Poi si fa l’abitudine a tutto, anche alle cose più brutte e devastanti. A Sancerre, come a Vienna a Sarajevo”.
Il dilemma: stabilire chi saranno i salvati
Entra in scena, nelle pagine del libro, anche un tema che ha fatto sempre discutere ma che in questi ultimi mesi della ripresa dopo la pandemia, è riproposto con particolare attenzione: il capitale umano. ” In un assedio (ma questo riguarda esclusivamente gli assediati) c’è da decidere – sostiene Duccio Balestracci nel libro e così me lo riassume – che cosa salvare del capitale umano. Stabilire chi saranno i sommersi e chi i salvati. Un assedio prima o poi, con un esito o un altro, dovrà pur finire e allora il capitale umano salvato sarà essenziale per la ricostruzione. A Siena, nel 1554-55, si preservano gli studenti dell’Università perché si sa che saranno loro a prendere in mano le redini della ricostruzione. A Costantinopoli, conquistata, violentata e devastata dai turchi nel 1453, i vincitori stessi salvano dallo sterminio le maestranze specializzate, in parte adibite alla ricostruzione della nuova città islamizzata, in parte adibite alla cantieristica ottomana. Quando Tamerlano espugna Delhi, i più bravi maestri dell’edilizia scampano alla strage che annienta i loro concittadini e sono inviati a Samarcanda a costruire i monumenti della gloria timuride”.
Stupri, pedofilia, omicidi
Gli effetti della presa di una città o di un castello che non si sono arresi sono terrificanti, con la “punizione ” per chi si è ostinato a resistere: saccheggi e violenze a ripetizione. Lo vediamo ai nostri giorni e, per il passato, lo descrive bene l’autore: “Questo significa che i soldati hanno man salva, che i maschi sconfitti sono uccisi o deportati come schiavi, che le donne, le ragazzine e i ragazzi sono sostanzialmente carne da stupro libero. La vicenda si ripete in tantissime conclusioni di assedi e le scene raccapriccianti di stupro di donne e di episodi (usuali) di pedofilia costellano le conclusioni di questo tipo di guerra”.
Da Caterina a Stamira, Balestrucci affronta il ruolo delle donne
La storia delle conquiste, delle guerre e degli assedi è in genere scritta tutta, o quasi, al maschile. Duccio Balestracci si allontana da questo stereotipo narrativo e dedica molte pagine, e molte riflessioni, al ruolo particolare che le donne hanno nell’assedio: “Partecipano alla manutenzione delle mura; non di rado combattono accanto agli uomini sulle mura stesse. In qualche caso, come Caterina Segurana, sulle mura di Nizza assediata da Solimano I nel 1543, si rendono protagoniste di episodi che entrano nella leggenda e poi, ingigantiti e riscritti, diventano epica. Ad Ancona, assediata nel 1173 dal Barbarossa e dai veneziani, Stamira (o Stamura che dir si voglia) diventa l’eroina che dimostra più coraggio degli uomini e, nella narrazione che ne fa Buoncompagno da Signa nel primo Duecento, le donne si offrono in pasto agli uomini ridotti allo stremo dalla fame. Un percorso simbolico, di facile decodificazione antropologica: la donna che genera la vita è anche quella che s’immola offrendo la vita per salvare gli alti. Tutto questo epos dura fin quando dura lo stato di eccezionalità. Quando le cose ritornano alla normalità, le donne ritornano a essere “solo” donne e spariscono di nuovo dalla scena”.
La fame è il primo nemico
Assedio vuol dire morte e violenza. Assedio vuol dire fame. Per chi assedia e per chi subisce l’assedio. Nel libro è detto come “Biagio di Monluc, nel raccontare la guerra di Siena, dice che se nell’inverno del 1555 avesse nevicato l’esercito imperiale e fiorentino sarebbe stato costretto togliere l’assedio perché era allo stremo. Ma in quell’inverno non nevicò e la storia prese un’altra curvatura. Per gli assediati la fame è il nemico primo da sconfiggere. Quando il cibo è finito e non si trova più nulla da mangiare nemmeno a pagarlo oro, si mangia l’immangiabile fino ad arrivare a casi di antropofagia. Esagerazioni? Forse. Ma il percorso del commestibile (una sorta di piramide rovesciata dall’usuale all’impensabile) è anch’esso testimonianza del percorso psicologico che accompagna la catastrofe materiale e mentale generata da un assedio”.