di Marcello Cecconi
E’ sempre una festa internazionale, quella che festeggiamo domani, il Primo Maggio, legata ai lavoratori, ma mutata nel tempo. Proprio com’è mutato il lavoro. Tutto ebbe inizio a metà dell’Ottocento, quando l’industrializzazione legata alla macchina a vapore stava per lasciare spazio a quella successiva della macchina elettrica e del petrolio.
“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” era lo slogan nato in Australia nel 1855 e che resterà alla base anche delle rivendicazioni della gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Da questa data la festa ha seguito l’intrecciarsi delle svolte della storia, con i suoi alti e i suoi bassi, come dimostra questa breve storia che è bene ricordare. Specie ai giovani.
Da allora iniziò la ricerca di un giorno in cui tutti i lavoratori, specialmente quelli delle grandi fabbriche nelle metropoli industriali, avessero la possibilità di riunirsi, anche fisicamente, per una forma di lotta di classe nei confronti dei “padroni” non solo per obiettivi economici ma anche di autonomia e indipendenza.
Nel 1866 a Ginevra, la Prima Internazionale dell’Associazione dei lavoratori, lanciò la proposta concreta delle otto ore come limite legale dell’attività lavorativa e, nello Stato dell’Illinois, i sindacati statunitensi riuscirono per primi a ottenere una legge al riguardo anche se i troppi distinguo la portarono, in pratica, a essere inapplicabile.
Vent’anni dopo, il Primo Maggio 1886 a Chicago, un’oceanica manifestazione di protesta dei lavoratori contro la legge inapplicata fu repressa nel sangue. In ricordo simbolico di questa giornata, nel 1889 a Parigi, il congresso della Seconda Internazionale decretò ufficialmente il Primo Maggio, come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori per l’affermazione dei propri diritti e per migliorare la propria condizione.
Inno del Primo Maggio sull’aria del Nabucco di Verdi (1892) di Pietro Gori, avvocato fiorentino dello studio di Filippo Turati
In Italia la borghesia e la stampa conservatrice cercarono di dissuadere i lavoratori dal partecipare a questa ricorrenza ma già nel 1890, nonostante le misure di prevenzione adottate dal Governo Crispi e l’ancora scarsa organizzazione sindacale, ebbe successo in molte città grandi e piccole nonostante la data cadesse in un giorno lavorativo. Si ricorda un episodio che accadde a Voghera, dove gli operai, non ebbero l’ardire di non recarsi al lavoro, ma scelsero comunque di andarci vestiti a festa.
Negli anni iniziali del Novecento, il Primo Maggio divenne momento anche per la rivendicazione di diritti che non riguardano strettamente il lavoro, ma anche altri come il suffragio universale, oppure proteste contro l’impresa di Libia e poi contro la partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale.
Dopo il Ventennio, durante il quale la celebrazione fu proibita e la festa del lavoro spostata al 21 aprile, la celebrazione tornò prepotente dopo la Liberazione. Il Primo Maggio del 1945, in un clima di nuovo entusiasmo, in molte città e paesi si riunirono lavoratori e partigiani, anziani militanti e giovani che non avevano mai vissuto questa festa. Il 1 maggio diventò festa nazionale dal 1947, data che sarà ricordata anche per la strage di Portella della Ginestra dove il bandito Salvatore Giuliano sparò proprio sui lavoratori in festa che assistevano in piazza a un comizio.
Il Primo Maggio 1945 su L’Unità
Dal 1948, con le prime elezioni politiche, le piazze del Primo Maggio rappresentarono bene lo scenario della profonda divisione politica dell’Italia che condurrà anche alla conseguente scissione sindacale. Ci vorranno più di vent’anni per rivedere uniti in piazza i lavoratori di diversa ideologia che in un’unica grande manifestazione unitaria esaurivano il momento politico.
Si comincia a discutere sul valore di questa ricorrenza: giorno di festa, di cultura, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione e di lotta? Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione. Dal 1990 infatti, Cgil, Cisl e Uil organizzano a Roma una giornata intera di spettacolo musicale per giovani amplificata dalla televisione e che sembra aderire più allo spirito di cultura popolare e difesa dei diritti civili che alle classiche rivendicazioni operaie.