Scorsese ovviamente riconosce che sia lui sia tanti altri altri registi hanno tratto molti benefici dallo streaming (il suo recente “The Irishman” è stato finanziato e distribuito da Netflix, mentre il prossimo “Killers of the Flowe Moon” è in lavorazione con la Apple), ma scrive che “l’arte del cinema viene sistematicamente svalutata, messa da parte, sminuita e ridotta al suo minimo comune denominatore dalla concettualizzazione dei film come contenuto”.
“Non più di 15 anni fa”, spiega Scorsese, “il termine ‘contenuto’ era utilizzato solo da persone che discutevano di cinema a un livello serio, mettendolo in relazione e misurandolo in rapporto alla forma”, ossia alle soluzioni visive usate per rappresentare un determinato contenuto. “Poi gradualmente, è stato utilizzato sempre più dalle persone che hanno rilevato le società dei media, molti dei quali non conoscono la storia del cinema come forma d’arte, e nemmeno si preoccupano di doverla conoscere”. Prosegue: “Contenuto è diventato un termine commerciale applicato a ogni immagine in movimento: un film di David Lean, un video con i gatti, uno spot del Super Bowl, il sequel di un film di supereroi, l’episodio di una serie tv. Legato, ovviamente, non all’esperienza in una sala ma alla visione da casa, sulle piattaforme di streaming che sono arrivate a superare l’esperienza cinematografica, proprio come Amazon ha superato i negozi fisici”.
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