Di nuovo una stella si è spenta. La leggenda del jazz Chick Corea è deceduta nella sua casa di Tampa Bay, in Florida, per una rara forma di cancro, a quanto pare diagnosticata solo di recente.
A dare la notizia, segno dei tempi, il suo sito Internet e la sua pagina Facebook. Aveva settantanove anni.
Il post che annuncia la morte sintetizza l’uomo con parole toccanti: “Per tutta la sua vita e la sua carriera, Chick ha apprezzato la libertà e il divertimento di creare qualcosa di nuovo e di giocare come solo gli artisti sanno fare. Era un marito, padre e nonno molto amato, e un grande mentore e amico per tanti. Attraverso il suo lavoro e i decenni trascorsi in giro per il mondo, ha toccato e ispirato la vita di milioni di persone”.
Cosa ancor più toccante, su quella pagina compare anche un messaggio di addio: “Voglio ringraziare tutti coloro che, lungo il mio viaggio, hanno contribuito a mantenere vivo il fuoco della musica. Mi auguro che coloro che hanno la propensione di suonare, scrivere, esibirsi o altro lo facciano. Se non per se stessi, lo facciano per noi. E non solo perché il mondo ha bisogno di più artisti, ma perché è anche molto divertente. E ai miei fantastici amici musicisti, che da quando li conosco sono stati per me come una famiglia: è stata una benedizione e un onore imparare da voi e suonare con tutti voi. La mia missione è sempre stata quella di portare la gioia della creazione ovunque potessi, e averlo fatto con tutti gli artisti che ammiro così tanto è stata la ricchezza della mia vita”.
Corea era davvero un grande musicista e con i più grandi ha suonato, in una vita dedicata all’arte della musica. In sala di incisione o sui palchi più prestigiosi del mondo ha prestato l’inimitabile sound del suo pianismo ad artisti del calibro di Dizzy Gillespie, Stan Gets, Mongo Santamaria, Sarah Vaughan. Sin da subito, all’inizio degli anni Sessanta, fu chiaro che il suo talento cristallino avrebbe lasciato una traccia indelebile nel firmamento del jazz, e non solo.
Il primo album da leader, “Tones for Joan’s Bones”, lo incise nel 1966, e due anni dopo vide la luce “Now He Sings, Now He Sobs”, con Roy Haynes alla batteria e Miroslav Vitous al contrabbasso, accolto da critiche entusiastiche e oggi assurto a classico. Il divino Miles Davis lo volle con sé, e Corea suonò il piano elettrico in due dischi seminali nella storia del jazz: “In a Silent Way” (1969) e “Bitches Brew” (1970), album che molti considerano come l’atto di nascita della fusion. È in quel gruppo che Corea sperimenta l’uso del Fender Rhodes, rivaleggiando con l’altro astro nascente del pianismo americano, Keith Jarrett. Pensate che tempi!
Quell’esperienza fu “l’apprendistato definitivo”, come ha sempre definito lo stesso Corea, così come lo era stato anni prima per il suo mentore, il pianista Horace Silver: un’esperienza che segnò la strada che avrebbe percorso, aprendogli la mente alla sperimentazione. Con la benedizione di Davis, Corea, ormai trentenne, comincia a camminare sulle sue gambe sempre più solide. Il momento storico è particolarmente adatto alla sperimentazione e alle contaminazioni, e lui batte quei sentieri. Nel biennio 1970-71 collabora con un complesso jazz d’avanguardia, i Circle, che annovera Anthony Braxton, Dave Holland e Barry Altschul. Ma è con la band da lui fondata nel 1971, Return to Forever, che Corea crea un ensamble che, con il procedere del decennio e con numerosi cambi di formazione, s’avventura nelle nuove sonorità fusion e inietta l’energia del rock nel jazz. Nel 1974 nel gruppo entra il chitarrista Al Di Meola, e le sonorità si arricchiscono dell’uso di sintetizzatori e di strumenti come il Moog. Il successo è grande: nel 1975, con l’album “No Mystery” vince il primo dei ventitré Grammy Award che collezionerà nella carriera, l’ultimo l’anno scorso con l’album “Antitode”, registrato con la Spanish Heart Band.
Sempre pronto a percorrere nuove strade, col declinare del decennio inizia una collaborazione col vibrafonista Gary Burton: i due incideranno diversi dischi, tra cui lo splendido “In Concert, Zürich, October 28”.
Negli anni Ottanta e Novanta fonda nuove band, reclutando talenti emergenti di quegli anni o chiamando artisti affermati: tra gli altri, John Patitucci, Dave Weckl, Eric Marienthal, Frank Gambale, Carlos Rios, Scott Henderson.
Corea però non ha mai dimenticato il primo amore, il piano acustico, e a dischi e performance elettriche, con la celebre Chick Corea Elektric Band, ha alternato appunto quelli acustici, con la Chick Corea Akoustic Band.
Nell’ultimo ventennio si è spesso esibito da vivo in delle reunion, rispolverando antichi progetti o semplicemente per il piacere di suonare insieme a vecchi amici, concerti talvolta raccolti in dischi, come il triplo “The Musician” (2017), che contiene esibizioni risalenti al 2011, l’anno del 70° compleanno. Un po’ un modo di chiosare una carriera straordinaria, senza però mai avvolgersi nel passato, proseguendo anzi nei tanti percorsi intrapresi: nel 2013 pubblicò due album con due nuove band: “The Vigil”, un quintetto elettrico composto da giovani musicisti, e “Trilogy”, un trio acustico con Christian McBride al contrabasso e Brian Blade alla batteria.
In realtà, i progetti e le collaborazioni con grandi musicisti sono numerosissimi, non riassumibili in un articolo. Jazz classico e avanguardistico, jazz-fusion, jazz-rock, classica, jazz latino: Corea aveva una personalità sfaccettata, ha spaziato e sperimentato in ogni campo senza preclusioni né pregiudizi.
Lo scorso ottobre si era esibito in un concerto in Florida con un programma di piano solo che andava “da Mozart a Monk”, suonando dal vivo il suo album che conteneva pezzi di mondi musicali diversi, da Scarlatti, a Gershwin, a Steve Wonder. Questo è stato Chick Corea: un artista totale.
Una cosa è certa: i suoi tanti dischi, in piano solo o in duo con altri pianisti (come non ricordare le esibizioni con Herbie Hancock), i concerti acustici e quelli elettrici, le preziose collaborazioni con i più grandi musicisti del Novecento continueranno a deliziare gli amanti della grande musica o anche gli ascoltatori distratti. Le radio manderanno in loop la celebre “Spain”, e magari qui da noi qualcuno riesumerà “Sicily”, che interpretò con Pino Daniele e con la quale nel 1993 si aggiudicò la Targa Tenco. A Napoli e non solo ricorderanno sempre il concerto che Corea tenne in quella città nel 2016, quando la suonò presentandola con queste parole: “C’era un grande musicista con cui tanti anni fa ho registrato una canzone speciale. E allora stasera, suonandola, la dedico a lui. Dedico a Pino Daniele la nostra ‘Sicily’”.
Perché con lui, in fondo, se n’è andato anche un pezzo d’Italia, la parte migliore. Era stato il papà, Armando J., nativo di Albi, Catanzaro, ed emigrato nel Massachusetts, trombettista in una formazione Dixieland negli anni Quaranta, a infondergli il sacro fuoco per la musica, iniziandolo alla magia del pianoforte a soli quattro anni.
Quest’anno, Covid permettendo, era previsto un suo concerto nella rassegna Umbria Jazz: il pensiero che mai più rivedremo dal vivo quelle capienti mani che cavalcavano forsennate la tastiera come meravigliosi stalloni liberi di galoppare in sconfinate praterie sonore, né quel faccione dal volto sempre sorridente che accompagnava come un dono degli dei le sue performance, è davvero lacerante.
La terra ti sia lieve, Chick.