di Chiara Guzzarri
Tutto si può dire tranne che il 2020 sia stato un anno normale. Il Covid-19 l’ha fatta da padrone e da febbraio fino a questi ultimi giorni siamo stati sommersi da immagini che raccontavano, giorno dopo giorno e ora dopo ora, il vissuto della pandemia. Immagini, grafici e commenti senza sosta. Inevitabile.
Durante quest’anno non c’è stato, però, solo il virus: si sono susseguiti avvenimenti come l’elezione del primo presidente donna in Moldavia, le catastrofi ambientali alle quali però si sono affiancate le immagini di una natura che ha riconquistato i suoi spazi durante in nostro lockdown, le esplosioni e le guerre, i profughi che cercavano rifugio in paesi stranieri e le proteste affinché non ci fossero più discriminazioni in base al colore della pelle o alle nostre origini.
Ecco, dunque, una selezione di dieci fotografie che raccontano ciò che è stato il 2020 oltre il Covid. Con scelte del tutto personali e, quindi, non oggettive. Volutamente.
Piccole volpi che giocano a Toronto durante il lockdown, foto di Brett Gundlock.
Mentre Toronto, la più grande città del Canada, era soggetta alle regole sociali sul distanziamento e stava subendo il lockdown di marzo a causa del coronavirus, due giovani volpi sono uscite per giocare indisturbate sul lungomare di Woodbine Beach.
Disastro ambientale in Siberia, contrasto tra il fiume e l’ondata di petrolio.
Il 29 maggio 2020, in Russia oltre 20.000 tonnellate di diesel e lubrificanti venivano riversate nel fiume Ambarnaya, a seguito di un guasto ad una delle cisterne della centrale elettrica della città di Norilsk, oltre il circolo polare artico. Si tratta del secondo più grave incidente nella storia del Paese e il presidente Putin ordinò lo stato d’emergenza, criticando fortemente la società responsabile della centrale per aver cercato di nascondere l’accaduto, dando l’allarme solo quando la chiazza oleosa aveva già percorso più di 20 Km trascinata dalla corrente del fiume e arrivando a coprire un’area di 350km quadrati, oltre che inquinare un secondo fiume. I tecnici hanno cercato di fermare la chiazza con solventi e galleggianti di contenimento, ma secondo gli ambientalisti la situazione è tutt’oggi estremamente critica.
Graffiti in Lake Street a Minneapolis.
Minneapolis, nota come la città dei laghi, si è trasformata a maggio nella città dei murales a seguito delle proteste razziali nate a dopo i frequenti casi di brutalità e uso della forza da parte delle forze dell’ordine statunitensi. Opere d’arte pop e graffiti che celebrano George Floyd e chiedono giustizia e diritti sono nati sulle pareti della città, e soprattutto in Lake Street.
Esplosione nel porto di Beirut.
Il 4 luglio due forti esplosioni della zona del porto a Beirut hanno causato oltre 113 morti e 4 mila feriti. All’origine dell’esplosione ci sono 2750 tonnellate di nitrato di ammonio e la capitale è stata sovrastata da una nube tossica che ha messo gli abitanti in fuga. Secondo il canale televisivo panarabo Al Mayadeen la violenta esplosione è stata sentita anche a Cipro e a 240 km di distanza.
Petroliera giapponese Wakashio si schianta contro la barriera corallina alle Mauritius.
La petroliera giapponese Mv Wakashio si incaglia il 25 luglio al largo del paradiso terrestre delle Mauritiuis, spargendo più di 1.000 tonnellate di petrolio in mare, arrivando qualche giorno dopo sul punto di spezzarsi in due. A peggiorare la situazione furono le condizioni meteo, con onde alte fino a 4,5 metri. I volontari si sono messi a lavoro sulle spiagge per giorni per costruire delle barriere galleggianti con centinaia di sacchi, creati con foglie di canna da zucchero e legati insieme, contro la macchia nera sulla spiaggia di Pointe d’Esny, la costa sudorientale dell’isola di Mauritius. È il primo disastro ambientale nella storia delle Mauritius.
Manifestazione per i diritti delle donne in Turchia, foto di Chris McGrath.
Ad agosto migliaia di donne turche sono scese in strada ed hanno protestati per fermare il ritiro del paese dalla Convenzione di Istanbul, accordo internazionale sui diritti delle donne. Ci sono state proteste nella capitale Ankara e nelle città meridionali di Andana e Antalya, mentre a Smirne la polizia è intervenuta per bloccare la manifestazione, arrestando 10 partecipanti. Il numero di donne uccise dagli uomini in Turchia è aumentato negli ultimi anni, e la possibilità che il paese si ritirasse dalla Convenzione di Istabul ha infiammato gli animi delle donne.
Incendio del campo profughi sull’isola di Lesbo.
Il 9 settembre il campo profughi di Moria a Lesbo, la struttura più grande d’Europa e ospitava 12.700 rifugiati evacuati in seguito all’incendio. Le fiamme hanno distrutto il centro sanitario e ampie zone residenziali. Il governo greco ha dichiarato lo stato di emergenza per 4 mesi sull’isola e Atene ha inviato tutte le forze, compresa polizia, personale sanitario e antincendio e altri lavoratori pubblici per sostenere l’isola e i richiedenti asilo mentre la Norvegia si offriva di accogliere 50 profughi, tra più vulnerabili, ovvero le famiglie con bambini e i minori di 14 anni.
Scontri delle forze armate armene e azere nella regione del Nagorno Karabakh.
La guerra nel Nagorno Karabakh scoppiata a fine settembre è un conflitto armato tra le forze armene e quelle azere per il possesso della regione caucasica. Dopo 44 giorni di aspri combattimenti, foreing fighters ingaggiati dalla Turchia e una riunione d’emergenza da parte del Consiglio dell’ONU per fermare il conflitto, i primi di novembre i rappresentanti dell’Armenia e dell’Azerbaigian hanno firmato un cessate il fuoco per consentire lo scambio di prigionieri e dei caduti, valido fino al 10 novembre 2020.
Maia Sandu vince le elezioni presidenziali in Moldavia.
Dal 1 novembre 2020 la Moldavia e l’Europa dell’Est hanno la loro prima donna presidente: Maia Sandu. Maia ha ottenuto il 57,72% dei voti contro l’uscente leader Igor Dodon. Durante la sua campagna elettorale ha insistito sulla necessità di portare avanti riforme radicali nel sistema giudiziario e nelle forze dell’ordine e di lottare alla corruzione nel governo e nell’amministrazione.
Monaci in Thailandia con protezione facciale, foto di Adam Dean.
Un’ordinata fila di monaci, muniti di protezione contro il covid-19, camminano per le strade di una cittadina thailandese ricevendo l’elemosina dai residenti locali. Non se ne parla molto, ma fino ad ora la Thailandia è uno dei paesi meno colpiti dalla pandemia. Probabilmente è dovuto all’allontanamento sociale tipico di questa cultura: qui infatti non si ha l’abitudine di salutare gli altri con un abbraccio o un bacio, ma ci si saluta con il wai, un movimento simile a una preghiera, oltre che l’aver adottato immediatamente le maschere per il viso, evitando così la trasmissione incontrollata della malattia.