Qualche segnale era già arrivato quest’estate, qua e là per l’Italia. Un paio di spintoni, complice qualche spritz, e poi giù a darsele di santa ragione. Oggi, in modo che sembra al momento molto meno spontaneo, si sono trovati in certe piazze di Roma e di Venezia e anche lì, senza motivo apparente, si sono presi a botte. Risse su appuntamento, facilitate dai social. Sono bande di ragazzini minorenni, spesso sotto i 14anni, ‘virilmente’ tutti senza mascherine. Al grido di “Rega’, pronti a scannavve” alcuni si picchiano, gli altri stupidamente li riprendono con il cellulare. Non sono solo figli dei quartieri buoni, nemmeno solo ragazzi di borgata. Sembrano ripetere comportamenti tribali, anche se forse nemmeno sanno cosa sono le tribù.
La riflessione intorno a questo vuoto riempito di nulla è appena iniziata e al momento tra i commentatori circolano più domande che risposte. Sono adolescenti compressi dal Covid? È noia, cattivo esempio che corre sui social? Sono la prova del fallimento della società, della scuola, delle famiglie? Sono ex bambini capaci di immaginarsi solo come i protagonisti di un videogioco?
Cercando nel passato medievale, come sempre in questa rubrica, qualche spunto che aiuti a comprendere almeno un poco la nostra realtà contemporanea – per confronto, per differenza o per somiglianza – non riusciamo a sottarci alla suggestione della parola ‘gioco’. Accadeva naturalmente anche allora che finissero davanti ai tutori dell’ordine preadolescenti, quasi sempre maschi impegnati in competizioni fisiche o in giochi di guerra chiusi con un incidente drammatico.
I documenti raccontano di quando si strattonano montati uno sulla groppa dell’altro come se fossero cavalieri armati, per mostrare l’abilità fisica nel catturare l’avversario e liberare i propri compagni di squadra. Oppure ricordano lo spintone fatale di uno da cui non si sa difendere l’altro, che finisce per sbattere violentemente il capo sul selciato, per non rialzarsi mai più. La ‘puerizia’ allora si chiudeva al massimo a quattordici anni, in certe città a dieci o dodici. Era lì la soglia della non punibilità anche per i pericolosi giochi di squadra, ma della trasgressione erano ritenuti penalmente responsabili il padre e la madre.
C’era poi l’uso radicato e popolare del tirare sassi, un ‘gioco’ del quale negli anni passati abbiamo purtroppo dovuto conoscere dei campioni incoscienti. Tirar sassi era pratica temuta da tutti i governi che sapevano bene a cosa potesse portare un primo sasso fuori controllo, tanto che si trattasse di ‘giochi’ giovanili più o meno ritualizzati e riconosciuti quanto di esercizi di addestramento delle milizie cittadine che si sovrapponevano con le pratiche di attacco cui ricorreva la folla inferocita quando si trovava a portata di mano, per terra, la materia prima per uno scontro improvviso. Ai giochi delle sassaiole partecipano tutti, senza limitazioni di ceto o di età, in qualche caso addirittura con match scanditi per fasce: per anziani, uomini maturi, ragazzi.
Infine in molte città si praticavano i pugilati di gruppo, spesso violentissimi. I governi più volte cercavano con molta fatica di vietare questi giochi antichi, dal quale scappava ogni tanto qualche morto, ma la tradizione sembrava sempre più forte del buonsenso. Una novella senese del XV secolo ci racconta con una straordinaria resa del parlato ed effetti onomatopeici, una specie di radiocronaca sportiva del gioco “delle pugna” praticato durante il periodo di Carnevale, una scazzottata a squadre a mani nude con pochi regolamenti dalla quale si usciva con la discutibile soddisfazione di aver fatto un po’ di esercizio e di averle date sode a “quegli altri”.
Dopo la descrizione delle ammaccature e delle ferite riportate dai partecipanti al gioco, il novelliere Gentile Sermini si mostra fatalista rispetto alla possibilità di arginare questa voglia giovanile di menare le mani: “Così facemo noi quando eravamo più giovani. Lassa fare a lloro mentre che ‘l sangue lo bolle”. Cerca anche di avvalorare l’immagine dei ‘nemici per gioco’, della rivalità solo simulata: “non crederia che non fusser nemici e l’altro dì sono fratelli ed amici”. Ma alla fine ammette: “egl’è usanza, vero è, ma è gattiva”.
Ci volle poi qualche secolo perché il gioco della pugna fosse abolito e venisse punito duramente chiunque volesse riesumarlo.