È nelle librerie un volume che può aiutarci a comprendere e ad affrontare l’odio che cova nella rabbia e che sta venendo sempre più spesso a galla nel nostro paese senza che gli autori si ergano a giudici supremi. Il libro è I meccanismi dell’odio (Mondadori, pp. 132, euro 17) e vede lo scrittore e insegnante Eraldo Affinati dialogare con Marco Gatto, studioso, ricercatore, tra i fondatori della Penny Wirton, scuola gratuita di italiani per immigrati ideati da Affinati medesimo. Un dialogo, più che una intervista, dove i due conversatori cercano di spiegare e scardinare i meccanismi che portano a scatenare la rabbia e spesso la violenza verso chi è meno tutelato e avvertito come nemico: in altre parole, gli stranieri (non i turisti, va da sé), per essere più esatti gli immigrati. Gli episodi in catalogo non mancano: nel febbraio 2018 in piena campagna elettorale Luca Traini di Tolentino sparò per strada e ferì sei africani a Macerata, capri espiatori scelti a casaccio per la morte di Pamela Mastropietro. Meno di un mese dopo un pensionato di 65 anni esce per strada a Firenze, su un ponte incrocia casualmente il senegalese Idy Diene, che non conosceva, gli spara e lo ammazza. Tutto questo non accade per caso.
“Non si tratta di considerare solo le esplosioni più drammatiche di violenza, ma di interrogare pregiudizi, percezioni falsate, indifferenza, “violenza dolce”, l’assunzione di modi di pensare e di agire «che autorizzano la disuguaglianza, il razzismo, la discordia» – osserva Paolo Di Paolo nella sua recensione pubblicata da Repubblica sabato 31 ottobre – Affinati e Gatto non perdono di vista, nelle premesse, l’esasperazione sociale acuita dalla lunga crisi economica e ora dalle conseguenze della pandemia sul mondo del lavoro, ma non intendono essere generici, studiano la «penetrazione lenta e capillare di alcuni presupposti culturali » senza eccessi di teorizzazione, studiando la quotidianità. Qualsiasi insegnante – spiega Affinati – può cogliere, a contatto diretto con i ragazzi, il riprodursi degli stereotipi culturali elaborati in famiglia o nell’ambiente sociale frequentato”.
In un’intervista a Massimo Trocchi del blog news.libreriapellegrini.it, alla domanda su cosa stia succedendo alla luce degli episodi ricorrenti di razzismo e della necessità di dare una scorta a Liliana Segre, Affinati risponde: “Questa è la domanda chiave a cui abbiamo cercato di rispondere nel libro. Ci sono aspetti congiunturali, legati alla recreduscenza dei nazionalismi e degli egoismi, basti pensare alle recenti forme di violenza contro i neri negli Stati Uniti, ma esiste anche un razzismo profondo, strutturale, ricorrente, insito nella natura umana. Rileggendo il libro, io stesso mi sono reso conto che con Marco abbiamo riflettuto su questo doppio registro: da una parte la cronaca più attuale, dall’altra quello che già in Campo del sangue, nel mio viaggio ad Auschwitz, avevo definito ‘il bosco biologico’. Il cervello rettile presente in ognuno di noi. C’è bisogno di un lavoro umano da svolgere perché non possiamo illuderci che basti rispettare i precetti giuridici per risolvere ogni problema. Purtroppo, come vediamo ogni giorno, non solo nel Mar Mediterraneo, i codici possono essere insanguinati”.
“Nei momenti di crisi l’odio razziale diviene trasparente. Ma nel libro abbiamo cercato di spiegare che si tratta di un fenomeno strutturale, cioè ordinario. Tanto ordinario che, nei momenti di finta pace sociale, sembra scomparire perché viene normalizzato”, ha detto a sua volta Marco Gatto a Francesco Mannoni sul Giornale di Brescia.
La necessità di comprendere uno scenario di diseguaglianze sociali sempre più accentuate anche dalla pandemia ha dunque una sollecitato questo dialogo tra due autori di età diverse e che insegnano alla Penny Wirton. “Quando una società è dominata dalla paura e dall’incertezza, le false identificazioni del «diverso» hanno una presa efficace e alimentano il nostro razzismo quotidiano, ben più diffuso e sordido degli episodi clamorosi che finiscono sui giornali. Si tratta di una sconfitta culturale bruciante, soprattutto per chi ha il ruolo di educare le giovani generazioni, che sui banchi riproducono i modelli ingenuamente introiettati nello spazio privato o sui social network”, scrive la Mondadori nella sua scheda online.
Se uno dei maggiori se non il principale gruppo editoriale italiano si fa meritoriamente carico di questa urgenza significa probabilmente che l’urgenza ha raggiunto la soglia di allarme. Ma anche del fatto che molto si può fare ed è quanto comunicano Affinati e Gatto richiamando la lezione di figure come la scrittrice afroamericana Toni Morrison e, da noi, Don Milani. Non a caso il primo luogo dove si può agire, suggeriscono i due autori, al di là dei social e di internet, è la scuola che può insegnare, tra le tante cose, il senso di una comunità, del non sentirsi soli e isolati.