A 88 anni ieri è morto a Parigi Marc Fumaroli (ponendo l’accento sulla “i”), maestro della forma del saggio, critico di letteratura e costumi culturali che sapeva guardare all’arte. Accademico di Francia, erudito studioso e biografo del poeta Chautebriand, specialista del ‘600 francese, di Corneille e La Fontaine, era un intellettuale, a detta di chi lo ha conosciuto, di una gentilezza impagabile e, al contempo, capace di esprimere giudizi affilati e senza appello. Giudicava artisti di fama globale come Jeff Koons e il britannico Damien Hirst «recenti industriali americani e inglesi della segnaletica scambiata per opera d’arte». Descritto come un gentiluomo raffinatissimo, Fumaroli contestava lo Stato francese quando promuoveva la cultura pop e il rock nelle sue varie forme ed era un autore che scavava in profondità nei temi culturali e con un raggio di pensiero europeo.
“Con lui se ne va uno fra i migliori rappresentanti della République des lettres, l’accademico raffinato, il saggista insuperabile, lo studioso dell’eloquenza e della retorica, lo scrittore che ha insegnato a diffidare delle mode, a guardare con sospetto o magari solo con sussiego il dilagare del vezzo modernista di trasformare tutto in cultura, col risultato di appiattire le idee col pretesto di farne un oggetto di consumo, e ritrovarsi in mano un pungo di mosca, dopo aver annientato il piacere della lettura, sacrificando l’amore per i classici e per la conoscenza di sé”, scrive oggi 25 giugno sul Foglio Marina Valensise. Che al contempo ricorda come il docente di retorica al Collège de France, “conversatore irresistibile”, non fosse affatto un uomo alieno alla modernità.
Fumaroli era nato a Marsiglia, era cresciuto a Fés in Marocco, poi aveva finito il liceo ad Aix-enProvence, aveva studiato alla Sorbona a Parigi, aveva partecipato alla guerra in Algeria, poi aveva scelto la carriera di studioso di letteratura. “Si è dedicato alla difesa militante del patrimonio classico e alla denuncia senza indulgenza delle degenerazioni del moderno, prima fra tutte lo Stato culturale, la nuova ortodossia dei consumi culturali di massa”, ricorda Marina Valensise. Tanto che Stefano Montefiori, sul Corriere della Sera, ricorda: “L’opera forse più conosciuta al di fuori dell’ambito accademico, quella dalle conseguenze più importanti nel dibattito contemporaneo, è Lo Stato culturale pubblicato nel 1991 (edito in Italia da Adelphi, ndr) , un grande schiaffo al potentissimo ministro dell’epoca Jack Lang e al presidente François Mitterrand”. Il giornalista rievoca un’intervista al CorSera dove lo studiovo puntualizzava il proprio pensiero: «Mai stato ostile all’intervento dello Stato in questo campo, tutt’altro. Ho solo denunciato che lo Stato francese allargava la sua responsabilità patrimoniale a rock, rap, graffiti e altri prodotti commerciali. Lo Stato deve a mio parere preoccuparsi della Comédie Française e di restaurare le cattedrali, invece di rincorrere l’hip-hop e simili pericolosi giocattoli. Si diffondono anche troppo da soli»”.