di Antonio Salvati
La liberazione di Silvia Romano, il suo ritorno in Italia e il suo abbraccio ai familiari hanno commosso tanti italiani. Silvia, dopo essersi laureata come mediatrice linguistica per la sicurezza e la difesa sociale, nel 2018 ha deciso di andare con una Onlus in Kenya, per aiutare i bambini dei villaggi. Mentre il mondo brucia, Silvia ha preferito di non restare indifferente, senza passioni. Eppure dopo la sua liberazione è scattata la gazzarra digitale dei social che, dopo i giorni della solidarietà di fronte al male invisibile del Covid-19, ha dato modo ai “riconvertiti” dell’odio di tornare in azione, addossando alla giovane milanese diverse colpe. Non solo quella conversione all’ìslam. Ma soprattutto quella di essere una donna imprudente (di «essersela andata a cercare») ed «ingrata». Una donna che ha scelto di non restare in una vita piccola, in una periferia confortevole della storia senza passioni e ambizioni, in cui il tempo passa e niente cambia.
In altri termini a Silvia è stato rimproverato di essere un’ingenua che sceglie di impegnarsi per la costruzione di una società più giusta e di un futuro migliore per tutti noi. Le stesse accuse rivolte a Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che lotta per il cambiamento climatico, divenuta oggetto di mirabolanti bufale prodotte dalla fantasia dei complottisti (e dei misogini). Accuse ed insulti che avevano accompagnato anche la liberazione delle cooperanti Simona Torretta e Simona Parri (rapite a Bagdad nel 2004) e recentemente l’ingiusto arresto della capitana Carola Rackete.
Potremmo dire che è sotto accusa la voglia di partecipazione politica e sociale dei giovani. Eppure numerosi studi recenti hanno sottolineato il generale declino della partecipazione politica tra le nuove generazioni, particolarmente colpite da condizioni quali precarietà occupazionale ed esistenziale. L’impegno politico delle nuove generazioni si è, infatti, configurato nell’ultimo ventennio come sempre più scarso, intermittente e superficiale. Alle nuove generazioni sono state attribuite diverse etichette come quella di generazione invisibile o figlia del disincanto, caratterizzata dall’eclissi della politica ed un progressivo riflusso nel privato. In un contesto socio-economico ed istituzionale critico, suscettibile di molteplici cambiamenti e caratterizzato da incertezza anche valoriale ed identitaria, i nostri giovani costituiscono oggi quella che potrebbe definirsi come una ‘generazione in crisi’, assegnando al termine le due accezioni di nella crisi e della crisi.
Da anni si parla sempre più spesso di «giovani-adulti» per indicare il ritardo con cui si realizza il passaggio alla vita adulta da parte delle nuove generazioni. Il mancato o ritardato conseguimento di una stabilità sociale ed economica influisce evidentemente sulla formazione dell’identità dei singoli, favorendo un differimento nell’assunzione di responsabilità sociale, civile e politica da parte delle nuove generazioni. La scarsa propensione verso la partecipazione politica rappresenta, pertanto, uno degli aspetti legati alla continua posticipazione delle scelte di vita personali. Inoltre, la maggiore precarietà della condizione occupazionale, contribuisce ad un incremento della sfiducia per le istituzioni sociali e politiche, percepite come distanti e scarsamente interessate alle problematiche legate alla condizione giovanile. D’altra parte è opportuno ricordare che le istituzioni politiche non hanno, nel nostro Paese, attuato alcuna misura finalizzata ad abbassare gli elevatissimi tassi di disoccupazione giovanile.
L’attuale condizione giovanile s’inquadra nell’avvento dei social network e degli ambienti virtuali, divenuti oramai attori centrali. Zygmunt Bauman, filosofo polacco scomparso nel 2017, è probabilmente il pensatore che meglio di altri ha meglio spiegato ed interpretato il disorientamento e la confusione che viviamo. Le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare alla politica, con le quali in tanti siamo cresciuti, grazie alle grandi narrazioni del secolo scorso, sono state – e continuano ad essere – smantellate e, spesso, dissacrate. La crisi dello Stato, delle ideologie e dei partiti di fronte alle spinte della globalizzazione, sono davanti ai nostri occhi e oggetto di continue analisi. Per Bauman l’uomo post-moderno, che vive e interagisce in una società dai confini labili, dai tempi stretti e dai cambiamenti repentini e incessanti, cerca la gratificazione nell’oggi perché del domani non ha certezza. In tal senso, i giovani rischiano di percepirsi come avulsi dalla realtà sociale e politica e questo sentimento si rispecchia nell’incapacità di agire sul piano politico. Occorre, inoltre, aggiungere la condizione prevalente della solitudine: si sono dissolte le reti tradizionali e rurali con l’inurbamento, ma soprattutto quelle frutto del volontarismo politico, sociale e religioso si sono smorzate. Cresce la solitudine nella vita reale, come dimostrano gli ultimi rapporti Censis. È indispensabile, in tal senso, riflettere, sullo sviluppo di un fenomeno ancora poco osservato in Italia: gli “Hikikomori”. Si tratta di ragazzi che si estraniano completamente dalla società per rinchiudersi in casa (o meglio, nella propria stanza), comunicando esclusivamente tramite i social o, più ancora, i videogiochi. Questi “eremiti sociali” sono 128mila soltanto in Italia.
Servono approcci e consapevolezze nuove. L’adolescenza non è una patologia che dobbiamo combattere, direbbe Papa Francesco. Fa parte della crescita normale, naturale della vita dei nostri ragazzi. «Dove c’è vita c’è movimento, dove c’è movimento ci sono cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è speranza, gioia e anche angoscia e desolazione», ha affermato il pontefice. Anche l’inquietudine è connaturata a questa fase della vita: «So che c’è qualcosa, nei vostri cuori, che vi rende inquieti, perché un giovane che non è inquieto è un vecchio», disse il Papa nel luglio del 2016. I giovani vogliono essere protagonisti. Allora, suggerisce saggiamente Bergoglio, «diamo loro spazio perché siano protagonisti, orientandoli – ovviamente – e dando loro gli strumenti per sviluppare tutta questa crescita. Per questo ritengo che l’integrazione armonica dei diversi saperi – della mente, del cuore e delle mani – li aiuterà a costruire la loro personalità. Spesso pensiamo che l’educazione sia impartire conoscenze e lungo il cammino lasciamo degli analfabeti emotivi e ragazzi con tanti progetti incompiuti perché non hanno trovato chi insegnasse loro a “fare”. Abbiamo concentrato l’educazione nel cervello trascurando il cuore e le mani. E questa è anche una forma di frammentazione sociale».
Con passione e preoccupazione il giurista e filosofo Pietro Barcellona, scomparso alcuni anni fa, sosteneva: “Il vero tema della generazione che abbiamo di fronte è una spaventosa mancanza d’amore che fa vivere i giovani in una dimensione di sconfitta inevitabile. I giovani a volte si sentono perdenti perché nessuno li ama e perché essi stessi non sono capaci di amarsi. Il nostro modello di civiltà, nonostante abbia sviluppato in modo parossistico l’autocomprensione e l’autoconservazione, non è riuscito a rompere la prigione mentale dei sistemi concettuali: più si sviluppano sofisticatissime teorie sulla conoscenza e meno si fa esperienza effettiva di una comprensione fraterna e affettuosa”.
Dice il profeta Gioele: “i vostri anziani faranno dei sogni, i vostri giovani avranno visioni” (3,1).