di Giordano Casiraghi
Una stagione irripetibile quella che ha visto protagonista Andrea Valcarenghi, già nei Sessanta obiettore di coscienza e partecipe del gruppo di provos milanese Onda Verde. Nei Settanta Valcarenghi dà vita a «Re Nudo», rivista di controcultura alternativa che diventa un chiaro punto di riferimento per migliaia di ragazzi. Non solo una rivista, «Re Nudo» diventa un collettivo capace di aggregare masse di persone lanciando proposte di Festival del Proletariato Giovanile sull’onda di quello che era successo a Woodstock. Si comincia da Ballabio, sopra Lecco, per andare sulle sponde nel Ticino, a Zerbo, quindi all’Alpe del Viceré. Anno dopo anno il pubblico cresce e il gruppo organizzatore, con a capo Valcarenghi, decide che è ora di affrontare la metropoli e nell’estate del 1974 si arriva alla prima edizione del Festival al Parco Lambro a Milano. Tutto questo e quello che succederà dopo viene trattato nel libro «La trasgressione necessaria – Dai provos al ’68, dall’ecologismo a Osho. La vita controcorrente di Andrea Ma-jid Valcarenghi fondatore di Re Nudo» pagg. 180, 15€, Mimesis edizioni, scritto da Luca Pollini a cui rivolgiamo alcune domande:
Dopo un libro su Gianni Sassi a breve distanza arriva un libro su Andrea Valcarenghi, il fondatore di Re Nudo. C’è un filo di collegamento tra i due personaggi?
«Hanno più punti in comune di quanto si possa immaginare. Sono due liberi pensatori, personaggi fondamentali per la controcultura e l’underground italiano; intellettuali ma pop. Pacifisti e non violenti, politicamente di sinistra ma tutti e due non hanno voluto legarsi a nessuna organizzazione o gruppo. Inoltre sia Sassi sia Valcarenghi hanno saputo capire in anticipo quello che dopo la metà degli anni Settanta sarebbe accaduto, in ambito politico, sociale e culturale».
Qualcuno potrebbe non conoscere Valcarenghi, ma quando si parla di Re Nudo vengono in mente i grandi Festival al Parco Lambro. Come Valcarenghi ricorda oggi quel periodo?
«Senza nessuna nostalgia, quasi che i Festival di Re Nudo – soprattutto i tre organizzati al Parco Lambro di Milano dal ’74 al ’76 – non abbiano inciso più di tanto sulle sue esperienze politiche e culturali. Sono giunto alla conclusione che probabilmente i Festival di Re Nudo siano mitizzati da chi li ha vissuti sul palco o sul prato e non da chi, per un motivo o per l’altro, era dietro le quinte».
Si nota un’introduzione di Jovanotti. C’è una relazione tra i due?
«Si sono conosciuti una sera in occasione del Festival Gaber che la Fondazione diretta da Paolo Dal Bon organizza in Versilia. Hanno chiacchierato a lungo e, alla fine, si sono lasciati con il classico “magari si fa qualcosa insieme”. Così, quando c’era da scegliere un personaggio che potesse firmare la prefazione del libro a Valcarenghi è tornato in mente Lorenzo che ha accettato molto volentieri. Può sembrare stridente, eppure secondo me è bello che sia stato uno di una generazione successiva a Valcarenghi a presentare la sua biografia. È un po’ come se fosse un passaggio di testimone. Almeno lo spero».
Tra i vari aspetti della vita di Valcarenghi, dalle prime appartenenze, da Onda Verde a Re Nudo fino agli arancioni di Osho. Un percorso lineare?
«Abbastanza da Onda Verde a Re Nudo passando per il Sessantotto; da Re Nudo a Osho probabile. Quest’ultimo è un percorso molto spirituale e a me mancano gli strumenti necessari per capire se la scelta sia stata lineare o meno. Vero è che già negli ultimi due festival del Parco Lambro era stata organizzata un’area del festival dove gli stand erano rigorosamente vegetariani, dove si proponevano massaggi, meditazioni dinamiche e yoga. Evidentemente quest’area era l’espressione della nuova strada che voleva intraprendere Valcarenghi».
Lei ha incontrato Valcarenghi nella sua residenza dove ha continuato a interessarsi delle pratiche attorno a Osho, oltreché prosecutore dell’attività editoriale con Re Nudo. Come l’ha trovato? Lo conosceva già?
«No, non lo conoscevo, ci ha fatto incontrare Mirrina Mazzullo, amica comune e all’epoca molto vicina alle posizioni di Re Nudo. Mi è sembrato un settantenne in splendida forma, in pace con sé stesso, felice della vita che ha intrapreso, senza nes-sun rimorso o nostalgia del passato».
Negli anni Sessanta e Settanta c’era molta politica in quello che faceva. Una stagione esaurita? Cosa resta?
«Sì, credo che per lui la politica – in senso stretto – rappresenti una stagione assolu-tamente esaurita. Di quelle sue esperienze resta molto, perché se il giornale Re Nudo da fine anno non uscirà più – questo è quanto ha deciso – il suo concetto e i suoi valori non cessano di vivere, ma si trasformano in un progetto di vita. Valcarenghi è ideatore e promotore di Soli e Insieme – Il villaggio di Re Nudo, uno spazio di vita dove libertà e responsabilità sono i fondamenti di un modello di relazione sociale basata su comprensione, amore, empatia, condivisione, collaborazione, cooperazione».
A Milano, nello spirito hippy era nata Barbonia City, una comune dove tanti ragazzi si ritrovano dopo essere scappati da casa. In quel periodo pre Re Nudo Valcarenghi era già attivo, ha frequentato anche quel posto?
«Sì, il suo gruppo Onda Verde ha partecipato all’organizzazione del “campeggio” assieme a quelli di Mondo Beat. Non so dire però se e quanti giorni ci abbia vissu-to».
Pacifista e antimilitarista, quali sono in breve gli episodi che lo vedono protagonista?
«Ha organizzato manifestazioni contro l’intervento militare americano nel Vietnam; contro la dittatura franchista in Spagna; ha distribuito volantini contro l’esercito in occasione di una parata militare. Ma il pacifismo di Valcarenghi non si è limitato a performance, articoli, volantinaggi o manifestazioni. Quando gli è arrivata la carto-lina di chiamata al servizio militare si è presentato in caserma e ha rifiutato di vestire la divisa. Per questo suo gesto è stato rinchiuso nel carcere militare di Gaeta e processato dal tribunale dell’esercito. La sua è stata la prima obiezione di coscienza per motivi politici e per senso morale».
Come si arriva a Re Nudo?
«Nel 1969 era stato trovato con addosso della marijuana e quindi arrestato per possesso e spaccio di sostanze stupefacenti. Quando esce dal carcere torna alla Statale per riprendere i contatti con il Movimento studentesco ma si accorge che “l’aria è cambiata”: che nel movimento ormai si parla solo di politica e non di sociale e che, in occasioni di scontri, anche da sinistra si comincia ad avere la mano pesante. E così decide di lasciare il gruppo di Mario Capanna e di trovarsi una sua collocazione politica all’esterno. Per prima cosa pensa di fondare un giornale riprendendo alcuni temi delle passate esperienze provos e di Onda Verde. Un giornale che nelle sue intenzioni si farà da interprete dei bisogni esistenziali del tempo di vita oltre le otto ore lavorative: le altre sedici trascurate dalla politica e cioè si occuperà anche di sessualità, musica, psichedelia, comuni, viaggi».
Nella foto che la ritrae con Valcarenghi si notano riviste e giornali d’annata, quali sono dove ha trovato più spunti per una ricerca cronologica?
«Due settimanali: Men, rivista sexy-soft che alternava servizi con foto di donne nude a servizi giornalistici, per loro Valcarenghi aveva condotto diverse inchieste; e Abc, che ha una netta linea socialista, anticonformista e anticlericale, molto vicino al Partito radicale e dava molto spazio a Re Nudo. Poi qualche numero di Lotta Continua, Notizie radicali e Gli studenti alla città, foglio di controinformazione diretto da Valcarenghi ai tempi che gravitava vicino al Movimento studentesco. E, ovviamente, molte copie di Re Nudo».
I Festival del proletariato occupano una parte importante dell’attività di Valca-renghi. Qual è il suo giudizio dai primi organizzati in maniera naif all’ultimo del 1976 dove però è entrata molta violenza.
«Credo siano stati fondamentali per la musica italiana, i movimenti giovanili e la formazione politica di una generazione. Bisogna ricordarsi che nel 1971, quando a Ballabio si è svolta la prima edizione del festival, Nicola Di Bari vinceva il Festival di Sanremo con Il cuore è uno zingaro mentre sul palco di Re Nudo suonavano gente come Claudio Rocchi, Franco Battiato, i Garybaldi, gli Stormy Six e, malgrado la logistica, la scomodità per raggiungere l’area e le previsioni meteo non proprio incoraggianti – è prevista pioggia per tutti e due i giorni – arrivano circa diecimila persone che si accampano con tende e sacchi a pelo, tanti senza neppure quello. Per quanto riguarda l’edizione del ’76 va detto che nell’organizzazione a Re Nudo si erano affiancati Lotta continua, Avanguardia operaia, Mls, Quarta internazionale, Collettivi anarchici e altri gruppi della sinistra rivoluzionaria divisi sulla gestione delle assemblee, dei collettivi e degli spazi sul palcoscenico. Il Festival non era più solo un appuntamento dei giovani di sinistra, al Parco Lambro circolavano oltre 100mila persone e ha visto l’entrata in scena degli autonomi e la situazione è senz’altro sfuggita di mano agli organizzatori. Poi ci si era messo pure il Comune di Milano che, incurante della presenza di una massa umana così grande, aveva negato l’allacciamento dell’acqua potabile e la raccolta dei rifiuti».
Non solo Festival, ma attività lungo tutto l’anno con lo spazio di via Maroncelli. Cosa succedeva in quel posto? Un’anteprima di quello che sarebbe stato Macondo…
«I locali di via Maroncelli – una vecchia fabbrica dismessa – dove c’era la sede della redazione e dell’Associazione Re Nudo, sono diventati un punto d’incontro per tutta la controcultura non solo milanese, ma italiana e internazionale. Si tenevano incontri, dibattiti, proiezioni, happening, concerti. È vero, in un certo senso hanno anticipato quello che è stato Macondo di Mauro Rostagno, grande amico di Valcarenghi, nel 1977 che lui stesso aveva definito “luogo di incontro, aggregazione, comuni-cazione del movimento”».
Prima degli anni Ottanta Valcarenghi va a trovare Bhagwan Shree Rajneesh e quando il maestro ha lasciato l’India lui è tornato in Italia dove ha continuato a praticare gli insegnamenti. Un periodo molto lungo che prosegue tuttora. Molti di quella generazione hanno seguito il suo percorso. Quindi c’è stato un tempo per le lotte di massa e un tempo per un’evoluzione individuale?
«È vero, in molti – stanchi dalla violenza o delusi dalla politica o dai sogni non realizzati – sono “scappati”. Prima di Valcarenghi la strada verso l’India e l’Oriente è stata intrapresa da Carlo Silvestro, Antonio Craxi, da musicisti come Paolo Tofani o Claudio Rocchi. Non credo sia solo il bisogno di ricercare una spiritualità. Una fuga? Un bisogno di una guida? Mah, come ho già detto, non strumenti per fare un’analisi».
Chi è oggi Valcarenghi?
«Un uomo attivo, molto attivo, sul piano sociale, culturale e spirituale. Nella sua te-sta si sovrappongono continuamente progetti e idee. E non smette di interessarsi di politica, anche se la guarda da lontano, con gli occhi smaliziati di chi ne ha già viste e vissute e si accorge che i protagonisti di allora erano senz’altro più preparati e di qualità».