Covid19: obiettivo “fraternità” dopo una pandemia che si poteva evitare | Culture
Top

Covid19: obiettivo “fraternità” dopo una pandemia che si poteva evitare

Un documento della Pontificia Accademia sulla “fraternità universale”. L’economista Giraud: la privatizzazione della sanità pubblica ha provocato la catastrofe

Covid19: obiettivo “fraternità” dopo una pandemia che si poteva evitare
Preroll

redazione Modifica articolo

10 Aprile 2020 - 10.51


ATF

di Antonio Salvati

In questi tempi di Coronavirus, Papa Francesco ha più volte utilizzato il termine fraternità accompagnato dall’aggettivo universale. Per il Papa la “fraternità” richiede una grande battaglia, innanzitutto contro il proprio individualismo, contro l’idolatria di se stessi. È la battaglia più difficile da combattere e da vincere. L’individualismo è il virus compagno del Coronavirus. L’individualismo distrugge tutto. L’individualismo è la grande eresia della modernità. In questo senso, è assai degno di nota il documento, uscito il 30 marzo scorso, Pandemia e fraternità universale, redatto dalla Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da Monsignor Vincenzo Paglia, che ha voluto fortemente rimarcare l’orizzonte della “fraternità universale” come l’indispensabile obiettivo che già da ora dobbiamo prefiggerci. Colpiti «nel bel mezzo della nostra euforia tecnologica e manageriale», stiamo sperimentando i limiti e il collasso della governance, vivendo «un paradosso che non avremmo mai immaginato: per sopravvivere alla malattia dobbiamo isolarci gli uni dagli altri, ma se dovessimo imparare a vivere isolati gli uni dagli altri non potremmo che renderci conto quanto il vivere con gli altri sia essenziale per la nostra vita».

Indubbiamente, la pandemia ha messo in rilievo con inattesa durezza la precarietà che radicalmente segna la nostra condizione umana. Abbiamo sperimentato quanto strettamente siamo tutti connessi: «anzi, nella nostra esposizione alla vulnerabilità siamo più interdipendenti che non nei nostri apparati di efficienza». Oggi più di ieri la relazione di cura si presenta come il paradigma fondamentale della nostra umana convivenza. Il mutamento dell’interdipendenza di fatto in solidarietà voluta non è una trasformazione automatica. Occorre passare – sottolinea Paglia – dalla solidarietà oggettiva alla solidarietà come scelta. In questo senso, l’orizzonte della “fraternità universale”, questo sogno nascosto anche nella ben nota triade (fraternità, libertà e uguaglianza), è un’opportunità preziosa aperta ad ogni tradizione culturale. Un’occasione che deve contemplare «un’alleanza tra scienza e umanesimo, che vanno integrati e non separati, né, peggio ancora, contrapposti». Un’emergenza come quella del Covid-19 si sconfigge anzitutto con gli anticorpi della solidarietà, avverte Paglia. I mezzi tecnici e clinici del contenimento devono essere integrati all’interno di una vasta e profonda ricerca per il bene comune, «che dovrà contrastare la tendenza alla selezione dei vantaggi per i privilegiati e alla separazione dei vulnerabili in base alla cittadinanza, al reddito, alla politica, all’età».

Le decisioni politiche dovranno senz’altro considerare i dati scientifici, ma non piegarsi ad essi. Consentire che i fenomeni umani siano interpretati solo sulla base delle categorie delle scienze empiriche «significherebbe produrre risposte solo sul piano tecnico». I processi biologici non possono divenire i determinanti delle scelte politiche, con il serio rischio di soppiantare le differenze fra le culture, «che interpretano salute, malattia, morte e sistemi di cura attribuendo significati che nella loro diversità possono costituire una ricchezza da non omologare secondo un’unica chiave interpretativa tecno-scientifica». Nei rapporti internazionali è decisamente illusorio inseguire e dare risposte in termini di “interessi nazionali”. È necessaria una collaborazione effettiva e efficace. Solo così si fermano i virus. Certo alcune decisioni sono molto gravi e gravose: occorre una visione aperta e scelte che non sempre assecondano il sentire immediato delle singole popolazioni. Ma all’interno di una dinamica così marcatamente globale, le risposte per essere efficaci non possono essere limitate all’interno dei propri confini territoriali.

Gaël Giraud: la catastrofe causata dalla privatizzazione della sanità
In sintonia con queste considerazioni si muove l’economista francese Gaël Giraud che senza mezzi termini sostiene, in un saggio Per ripartire dopo l’emergenza covid-19, apparso sul Quaderno 4075 de La Civiltà Cattolica del 4 aprile 2020, che l’Occidente, dal punto di vista sanitario, non ha strutture e risorse pubbliche adeguate a questa epoca e a questa situazione. Per gli esperti di sanità la pandemia Covid-19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e molto seri solo su una piccola frazione di essa. Invece – se consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti – «lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici».

L’economista: frenare la pandemia era possibile
Per Giraud sarebbe stato relativamente facile frenare la pandemia «praticando lo screening sistematico delle persone infette sin dall’inizio dei primi casi; monitorando i loro movimenti; ponendo in quarantena mirata le persone coinvolte; distribuendo in modo massiccio mascherine all’intera popolazione a rischio di contaminazione, per rallentare ulteriormente la diffusione. Trasformare un sistema sanitario pubblico degno di questo nome in un’industria medica in fase di privatizzazione si rivela un problema grave». La diffusa privatizzazione dell’assistenza sanitaria ha portato le nostre autorità a ignorare gli avvertimenti fatti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Prevenire eventi come una pandemia non è redditizio a breve termine. Pertanto, non ci siamo premuniti né di mascherine né di test da eseguire massicciamente. E «abbiamo ridotto la nostra capacità ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia che uccide». Il parziale isolamento dell’Europa ha ridato vita all’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile. Lo Stato sociale è tornato di moda. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è – secondo l’economista francese – purtroppo semplice: «se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata».

Ripensare la salute come bene comune globale. Non può esistere – è la lezione che della pandemia – un capitalismo efficiente senza un forte sistema di servizi pubblici. Serve ripensare completamente il modo in cui produciamo e consumiamo, perché questa pandemia non sarà l’ultima. La deforestazione ci mette in contatto con animali i cui virus non ci sono noti. Lo stesso allevamento intensivo facilita la diffusione di epidemie. La lezione di questa dolorosa primavera è che occorre riconvertire la produzione, regolare i mercati finanziari; ripensare gli standard contabili, al fine di migliorare la resilienza dei nostri sistemi di produzione; fissare una tassa sul carbonio e sulla salute; lanciare un grande piano di risanamento per la reindustrializzazione ecologica e la conversione massiccia alle energie rinnovabili. Riflessioni nel solco di quella “ecologia integrale” professata dal Papa sin dall’enciclica Laudato Sì. «Tutto è in relazione», «tutto è collegato», «tutto è connesso»: questo è il ritornello che attraversa la Laudato si’. L’ecologia integrale diventa così il paradigma capace di tenere insieme fenomeni e problemi ambientali (riscaldamento globale, inquinamento, esaurimento delle risorse, deforestazione, ecc.) con questioni che normalmente non sono associate all’agenda ecologica in senso stretto, come la vivibilità e la bellezza degli spazi urbani o il sovraffollamento dei trasporti pubblici. In altre parole, sostiene il Papa «non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri».

La chiesa di Papa Francesco – potremmo dire – ha dimostrato di essere, di fronte all’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia di Covid-19, tutt’altro che impreparata e ha attivato – con un sguardo ampio verso il futuro – tutte le sue dimensioni, materiali e spirituali, senza dimenticare nessuno, soprattutto i più poveri e vulnerabili.

Native

Articoli correlati