Qualche politico vuole elevarsi al di sopra della legge in nome del “popolo”? Qualcuno dalle nostre parti si arroga il diritto di parlare a nome degli “italiani” (tutti quindi, nessuno escluso) in ogni polemica, in ogni scontro? È in libreria un saggio che affronta un tema chiave della scena politica e sociale di gran parte del globo, il cosiddetto populismo, e che dopo essere uscito in inglese per la Harvard University Press nell’agosto 2019 a gennaio è stato pubblicato in italiano da una studiosa italiana di grande acume: Nadia Urbinati. Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia (il Mulino, pp. 340, 24 euro). Emblematici gli interrogativi posti dai titoli di due paragrafi nell’introduzione: “1. Come il populismo trasforma la democrazia rappresentativa. 2. Contesti, comparazioni e il rischio di fascismo”.
Oggi Salvini, Trump, prima di loro Beppe Grillo. «La faziosità per sviluppare una retorica “in negativo” e far sì che la parte “giusta” prenda il posto di quella “sbagliata”; il maggioritarismo, che identifica il principio di maggioranza con il potere di una maggioranza; il “dux cum populo”; l’antipartitismo»: ecco il marchio del populismo nel libro individuato da Marzia Apice dell’Ansa sul libro della docente di Teoria Politica alla Columbia University di New York. «In pagine illuminanti, chiare e densissime di concetti e di informazioni – scrive la giornalista dell’agenzia di stampa – la tesi sposata dalla politologa è che il populismo non sia votato necessariamente all’opposizione e incapace di governare: al contrario, esso “è una nuova forma di governo rappresentativo: ma una forma sfigurata” e rappresenta “un esito del malfunzionamento della democrazia dei partiti”».
Nel populismo il leader si intende e autorappresenta in opposizione a un presunto establishment, come se venisse dagli strati più marginali (clamoroso il paradosso del supermiliardario Trump) e rappresentasse lui gli strati sociali impoveriti, che non hanno fiducia nei partiti e nelle istituzioni. Nadia Urbinati rileva come queste figure siano in campagna elettorale permanente, sette giorni su sette qualunque carica ricoprano, anche istituzionali, e abbiano una meta: smantellare il sistema dei partiti, semplificare al massimo “gioco politico (il bipolarismo, il mito del maggioritarismo)”, usare la diffusione di internet, “strumento che può sostituire l’organizzazione di partito nella costruzione del potere populista”.
Per Nadia Urbinati dobbiamo capire il populismo perché sta stravolgendo la democrazia stessa in quanto «sintomo di un malessere reale vissuto dai cittadini», appunta ancora Marzia Apice. Scrive ancora la studiosa: “Per far fronte alle critiche populiste i democratici dovrebbero intervenire nel merito delle argomentazioni costituzionali e politiche del populismo, invece di demonizzarle, e rivedere alcune fondamentali regole del gioco in modo da restituire potere decisionale ai cittadini e permettere loro di esercitare un controllo più stringente sui loro rappresentanti”.
Sul sito fatamorganaweb recensendo il volume Marino De Luca registra: «La democrazia populista è considerata come una variante del governo rappresentativo in cui il rapporto diretto tra leader e popolo, il suo popolo, diventa uno strumento da brandire contro l’altro, in questo caso l’establishment e non l’élite. La dicotomia amico-nemico assume così una relazione specifica nella quale il popolo del leader contrasta l’establishment, coloro che operano e lavorano nelle istituzioni e non producono niente (… ). L’establishment è il tradimento del popolo mentre il leader populista è la faccia di questo popolo invisibile, non riconosciuto, silenziato, a cui dare visibilità e attraverso il quale ottenere legittimità».
De Marino pone una domanda opportuna: «Ma cos’è il popolo oggi? Cosa rappresenta? (…) Il popolo concepito come un’unica entità con confini chiaramente definiti. Confini tra chi appartiene a questo gruppo e chi cade al di fuori di esso. Un gruppo a forma di cerchio con dei criteri di appartenenza e di esclusione spesso definiti dalla retorica populista del leader».
E conclude: «Il populismo è il sospiro della creatura oppressa. Qualsiasi sistema democratico degno di questo nome risponderà a quel sospiro. Ma dovrebbe rispondere non sulla base del mito, ma sulla base di una valutazione realistica delle alternative (Weale 2018). Realismo non significa rinunciare ad importanti riforme sociali ed economiche. Significa riconoscere che la politica consiste nel decidere sulla base delle volontà di persone diverse, perché le persone sono diverse e ci sono modi diversi e spesso incompatibili di combinare le loro opinioni».