di Gianluca Santilli
A piazza Fontana, come a piazza della Loggia, non è successo niente. Cosi pare a giudicare dagli atti del giugno 2005, quando la Corte di cassazione confermò l’assoluzione degli ultimi neofascisti imputati per la strage del 12 dicembre 1969 a Milano.
Nonostante la lunga e puntigliosa inchiesta condotta dal giudice Guido Salvini e dagli uomini del Reparto Anti Eversione del ROS, questi sono i risultati delle indagini. Ma tutti sappiamo che non è così, sappiamo che quella strage, quella dell’innocenza perduta, maturò negli ambienti ordinovisti veneti, sappiamo chi furono i fascisti coinvolti, le loro storie, i pezzi dello Stato che favorirono gli esecutori e quelli che depistarono le indagini. Ma non li si può condannare.
Sappiamo chi sono Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, Carlo Digilio, Franco Freda, Giovanni Ventura, Giampaolo Stimamiglio, Martino Siciliano e tanti altri. Tutti a vario titolo coinvolti nella strage e negli attentati prodromici alla stessa. Tutti coinvolti ma quasi tutti innocenti. L’assoluzione definitiva è stata pronunciata con una formula che giudica incompleto ma non privo di valore l’insieme delle prove raccolte. Sono esistiti in questa vicenda pesanti depistaggi da parte del mondo politico, delle forze dell’ordine e dei servizi segreti del tempo. Però non è del tutto esatto che responsabilità personali non siano state comunque accertate nelle sentenze. Almeno un colpevole c’è anche nella sentenza definitiva della Cassazione del 2005. Si tratta di Carlo Digilio, l’esperto in armi e in esplosivi del gruppo veneto di Ordine Nuovo, reo confesso, che fornì l’esplosivo per la strage e che ha anche ammesso di essere stato collegato ai Servizi statunitensi.
Il libro, un documentato atto d’accusa
Nonostante ciò il giudice Guido Salvini, autore dell’istruttoria che ha portato all’ultimo processo sulla strage, non si è mai fermato e dopo la conclusione del processo ha iniziato una nuova e minuziosa inchiesta privata che nel libro La maledizione di piazza Fontana (Chiarelettere, pp. 640, € 22,00), scritto con la collaborazione del giornalista Andrea Sceresini, è raccontata e resa pubblica per la prima volta. Una vera e propria ricerca di prove e degli uomini coinvolti nella strage di piazza Fontana. I nomi e le storie dei terroristi neri sfuggiti alla giustizia. Un documentato atto d’accusa contro una parte della magistratura che le indagini le ha ostacolate. Un libro che farà discutere.
Undici anni di indagine, la spasmodica ricerca di persone, prove, fatti. Poi il processo e l’assoluzione in Cassazione. Ed ora altri dieci anni in cui il giudice Salvini è tornato autonomamente a parlare con le sue vecchie fonti, ne ha trovate di nuove, ha smontato le bugie e gli alibi che avevano messo in difficoltà le accuse, e raccolto elementi e riscontri a carico di soggetti mai sfiorati dalle indagini.
La rabbia per le assoluzioni di molti colpevoli
Di lui, dopo aver collaborato con l’uomo per oltre 10 anni, ricordo bene la tenacia, l’impegno fuori dal comune e la meticolosità nel condurre le indagini. Oggi, leggendo il suo libro, sono riaffiorate in me emozioni forti e mai sopite e, soprattutto, la rabbia per le assoluzioni nella certezza della colpevolezza di molti, le spole fra Roma e Milano, gli innumerevoli viaggi nel Triveneto alla ricerca di un frammento, di una tessera che potesse aiutarci a comporre il puzzle di una vicenda italiana di cui molti, anche troppi, sapevano. E poi lo sgomento nello scoprire pezzi dello Stato coinvolti a vario titolo, gli intrighi internazionali, i cittadini americani… una guerra psicologica a bassa densità combattuta sul territorio italiano. E un interrogativo forte, pressante, di quelli che ti ronzano in testa per anni: perché i magistrati non sono stati in grado di compiere fino in fondo il loro dovere?
Grazie Giudice Salvini per questo libro. Per la sua chiarezza, in una narrazione ricca di elementi inediti, a cinquant’anni dalla strage. La vicenda più drammatica della nostra Repubblica raccontata come un grande giallo italiano.
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