Adriano Ercolani
Da alcune settimane su diverse testate nazionali possiamo assistere a un vivace dibattitto su una nuova iniziativa: Odiare ti costa
(https://www.facebook.com/odiareticosta/?ref=br_tf&epa=SEARCH_BOX).
Di cosa si tratta? Di una campagna, lanciata dall’avvocata Cathy La Torre (Studio Wild Side) e dalla filosofa Maura Gancitano (Tlon), per arginare il fenomeno crescente dell’odio in rete.
L’intento è dichiarato: cultura del rispetto ed educazione digitale contro la barbarie.
Odiare ti costa ha creato un team di avvocati, esperti di comunicazione, investigatori privati e informatici forensi per offrire orientamento e aiuto alle vittime di odio in rete, spesso donne, che ricevono migliaia di auguri e minacce di morte e stupro sui social.
Non si tratta di casi sporadici, ma spesso di una strategia di repressione organizzata del dissenso.
L’iniziativa in pochissimi giorni ha ricevuto decine di migliaia di segnalazioni (alla mail odiareticosta@gmail.com), raccogliendo importanti adesioni (dal Partito Democratico ai Sentinelli di Milano, da Italia che Cambia a Bufale.net, dall’ARFestival a Michela Murgia), oltre all’interesse e all’apprezzamento di Facebook Italia.
I promotori da più di un mese ripetono quotidianamente, con una pazienza ammirevole, gli intenti dell’iniziativa: non si propone un inasprimento delle pene, né una repressione bigotta della libertà di espressione; si offre solo orientamento e aiuto a vittime di odio, si propone una campagna di formazione e informazione per rendere il web un post migliore.
Ripetono che non si tratta né di un’iniziativa giustizialista, né orientata politicamente: si offre orientamento e aiuto a chiunque sia vittima di odio, al di là delle opinioni.
Una bella iniziativa, no?
Ingenui!
Chiaramente, in questo periodo dominato da una dialettica violentemente polarizzata (e del tutto indifferente ai contenuti reali dell’oggetto del dibattito) si sono moltiplicate voci critiche.
Ma, attenzione, non soltanto da chi sostiene le parti politiche che utilizzano a livello industriale quei commenti violenti come forma di repressione del dissenso: tale reazione era facilmente prevedibile, come i ridicoli appelli alla libertà di espressione da parte di chi notte e giorno lavora contro la repressione dei più elementari diritti civili.
L’aspetto più grottesco è la levata di scudi da parte di supposti “liberali”, che vedono l’iniziativa come liberticida. Inutile ripetere che lo scopo della campagna non è reprimere la libertà di espressione, ma arginare un fenomeno reale, crescente, istituzionalizzato, sulla base di leggi già esistenti.
Con la scena politica dominata (fino a un paio di settimane fa) da un potenziale premier in pectore che parla di zecche e zingaracce e cita allusivamente Hitler, una campagna di educazione digitale fondata sul rispetto e il dialogo civile viene considerata un attacco alla democrazia.
Si analizza col microscopio l’unghia del dito che indica la luna, per scoprire se qualche residuo di sporcizia possa essere esposto al pubblico ludibrio.
Ma ormai dovremmo essere abituati: ogni volta che qualcuno lancia un’iniziativa contro la barbarie dominante, quest’ultlima viene analizzata e combattuta per trovare delle possibili contraddizioni, proprio da coloro che dovrebbero logicamente sostenerla.
Pensate un attimo se tutte queste energie critiche venissero convogliate in un fronte comune contro la deriva illiberale…
Ma, si sa, il fuoco amico è la principale causa di morte sul fronte progressista.
Dunque, in un momento in cui razzismo e xenofobia dominano il linguaggio politico, ci si straccia le vesti per un ipotetico rischio liberticida di una campagna contro l’odio in rete.
E così, in nome della libertà, si fa il gioco di chi dichiaratamente vuole reprimere la libertà.
La differenza è chiara: mentre ci sono alcune persone che hanno passato l’estate a mettere a disposizione il proprio tempo libero per offrire orientamento e aiuto a vittime di bullismo online, c’è chi la passa ad accanirsi su di loro, assolutamente sordo e indifferente a qualsiasi spiegazione o argomentazione contraria.
E l’argomentazione è chiarissima: “se il diritto di critica è sacro e inviolabile, se la libertà di opinione è sacra e inviolabile, se la libertà di dissenso, anche aspro, duro, netto, schietto, è un diritto sacro e inviolabile, la diffamazione no, l’ingiuria no, la calunnia no, l’offesa no, la minaccia no.”, come ha spiegato Cathy La Torre dal giorno 1 dell’iniziativa.
Volete una perfetta esemplificazione della dinamica in questione? Michela Murgia ha condiviso sulla sua pagina Facebook un video di Luciana Littizzetto, in cui quest’ultima esprimeva vicinanza e sostegno alle persone bloccate sulla Open Arms, in attesa di sbarcare dopo giorni di vergognoso balletto politico a riguardo.
Matteo Salvini ha puntualmente esposto Luciana Littizzetto alla gogna mediatica sulla sua bacheca Facebook (come fa con qualsiasi voce dissidente), lasciando che una cloaca di insulti e minacce sessiste si riversassero su di lei.
Michela Murgia ha risposto, in difesa della conduttrice torinese, con il suo consueto coraggio, senza mezze misure, definendo il leader della Lega “disumano e codardo”.
Ecco spiegata la differenza tra libertà d’espressione e odio in rete: esprimere un’opinione, anche in maniera forte, è lecito; mettere alla gogna, insultare e minacciare non lo è.
Già sento il coro di obiezioni benaltriste: “Ah, quindi se uno offende Salvini va bene, se lo fa lui è odio…”.
Mi spiace, ma “specchio riflesso” è una strategia dialettica che quando facevo le elementari era già superata: si sta dicendo proprio il contrario.
Odiare ti Costa è contro qualsiasi campagna di odio, contro qualsiasi persona, al di là delle opinioni: sono vergognosi gli attacchi sessisti contro Giorgia Meloni e Virginia Raggi, non solo quelli contro Laura Boldrini.
La stessa Michela Murgia, proprio in relazione all’iniziativa, aveva usato come esempi chiarificatori dei messaggi inviati contro di lei: uno, per quanto forte, che rientra nella libertà di espressione
(https://www.facebook.com/kelledda/photos/pcb.10156630937604370/10156630937394370/?type=3&theater),
l’altro come mera espressione di odio in rete
(https://www.facebook.com/kelledda/photos/pcb.10156630937604370/10156630937534370/?type=3&theater).
Certamente, si può non condividere la campagna, non esserne convinto, esprimere perplessità, critiche ragionate o anche solo indifferenza.
Ma un accanimento sistematico rivela malafede e doppi fini.
Qui bisogna tirare una linea: in un momento in cui esistono potenti forze razziste e liberticide, che fomentano odio e violenza, e poche voci libere che provano ad opporsi, se la propria energia è volta solo a distruggere le seconde, si è scelto molto chiaramente da quale parte stare.