Rock Reynolds
“La difesa del territorio dipende dalle mura; la difesa delle mura dipende dalle armi. La difesa delle armi dipende dagli uomini e la difesa degli uomini dipende dai cereali.” Sono parole di una modernità sconcertante, eppure pare siano state scritte da Guan Zhong, primo ministro del duca Huan di Qi, nella Cina del VII secolo. Storia politica del mondo – 3000 anni di guerra e pace di Jonathan Holslag (Il Saggiatore, traduzione di Giulia Poerio, pagg 524, euro 32) è ricco di citazioni come questa, ma, soprattutto, racconta come, in fondo, vizi e virtù del genere umano non siano cambiati radicalmente nel corso della sua storia documentata. Con uno stile chiaro e divulgativo, che però non scade mai nella banalità, Holslag racconta le ragioni del richiamo quasi ancestrale dell’uomo a fare guerra ai propri simili, scavando negli eventi principali della storia dell’umanità tanto quanto nella psiche degli individui che ne hanno sancito le tappe salienti.
Tredici capitoli più gli “Amici dell’orrore”
Il libro è suddiviso in tredici capitoli più una sorta di appendice un po’ inquietante dal titolo “Amici dell’orrore”. A partire dagli antichi popoli asiatici delle steppe di Cina e Mongolia, l’analisi attraversa il mondo mediorientale, quello greco-romano e l’impero egizio, le fasi delle invasioni barbariche e del primato dell’Occidente. La cosa più interessante è la scelta di analizzare vari periodi storici per fasce territoriali, in maniera tale da consentire al lettore di avere chiara la visione dello sviluppo o della regressione di un popolo e una cultura nei secoli. Pertanto, per esempio, si assiste alla salita al potere dell’impero assiro-babilonese e alla sua scomparsa sotto i colpi dell’avanzata quasi inevitabile dei persiani; alle difficoltà che hanno portato alla caduta dell’impero romano e all’avvento dello spauracchio dei barbari nella civilissima Europa e via discorrendo, con continui rimandi fra Asia ed Europa e qualche riferimento al continente americano.
Diplomazia per la sicurezza e la gerarchia, non per la pace
Vizi e virtù, dunque, ricorrenti, al punto che Holslag sottolinea come certe cose siano rimaste pressoché identiche. Due su tutte? Desiderio di supremazia e consapevolezza dei propri limiti. “La forza spingeva a nuove conquiste, ma la debolezza incoraggiava le conquiste altrui.” Anche alcuni strumenti atti a dirimere le controversie internazionali senza necessariamente fare ricorso allo scontro armato non sono una recente conquista della politica internazionale. “Certo, la diplomazia esisteva eccome. Ma il suo scopo era il mantenimento della sicurezza, della gerarchia fra stati e il potere, non della pace. Le grandi potenze ricorrevano alla diplomazia per costringere gli stati più piccoli a versare i tributi. Eppure, gli accordi sulle frontiere garantivano qualche forma di sovranità territoriale… Ciononostante, ci si aspettava che un buon re fosse sempre pronto ad armarsi e a combattere. L’ideale della pace era sempre controbilanciato da quello di una società temprata dalla guerra.”
I muri che dividono di Tim Marshall
Se è vero che, come sostiene qualcuno, per capire il presente bisogna guardare al passato, su quale periodo storico è il caso di soffermarci per comprendere meglio uno dei fenomeni più preoccupanti della nostra epoca, quello delle grandi migrazioni di massa? Holslag ci illustra svariate migrazioni bibliche e lo fa con il piglio dello storico.
Per chi, invece, preferisce un approccio più contemporaneo, forse, è il caso di partire dai dati di fatto e dare ascolto, come fa Tim Marshall nell’interessante saggio I muri che dividono (Garzanti, pagg 288, euro 19), al parere degli esperti demografi secondo i quali, in base agli attuali dati di crescita, la popolazione del continente africano tra il 2050 e il 2060 sarà raddoppiata, varcando la soglia dei due miliardi e mezzo. La cifra rischia di aprire scenari apocalittici soprattutto per l’Europa che, se non metterà in campo misure illuminate, davvero potrebbe esserne travolta. Ma questo è un terreno minato che meriterebbe una valutazione a parte. I muri che dividono resta comunque un ottimo spunto per una riflessione più profonda.
La parola ai barbari di Peter S. Wells
Insomma, ci sono corsi e ricorsi storici. E non tutti sono di segno negativo. Lo stesso spauracchio rappresentato dai barbari è un’incredibile metafora storica dei tempi che oggi viviamo. I barbari come le orde dei mongoli in Asia. Forse, pure come l’uomo nero che approda oggi sulle coste di un’Europa spaventata dalla sua ombra scura? La parola ai barbari di Peter S. Wells (Il Saggiatore, traduzione di Maria Grazia Gini, pagg 382, euro 29) ribalta il concetto stesso di barbaro, smentendo vari luoghi comuni e raccontando come certe popolazioni entrate in contatto con l’impero degli imperi ne abbiano fatto propri alcuni tratti, a loro volta trasmettendo qualche novità interessante agli spesso superbi padroni del mondo. Insomma, il barbaro, come l’uomo nero, non necessariamente babau delle favole.