Un quartiere, un municipio vuole intitolare una piazza a Giorgio Almirante, capo del Movimento Sociale, Italiano erede dichiarato del fascismo? «Si deve mobilitare la gente». Lo sostiene Filippo La Porta, critico letterario e saggista nato nel 1952, dai vasti orizzonti, collaboratore di lungo corso del settimanale Left, di Radio3, del Sole24Ore, che ha da poco pubblicato un saggio sui suoi maestri del pensiero critico del ʼ900 (Disorganici. Maestri involontari del Novecento, Storia e Letteratura, pp. 201, euro 12,00).
Anche se «non ci sono ancora gli squadristi», La Porta ritiene necessario praticare un «antifascismo esistenziale» e nel libro rimanda a figure come Carlo Rosselli, Carlo Levi, Hannah Arendt, Simone Weil e, magari sorprendendo qualcuno, il partigiano Rosario Bentivegna: romano, nato nel 1922 e morto nel 2012, il 23 marzo 1944 fu Bentivegna a mettere lʼordigno in via Rasella nellʼattentato che uccise 33 soldati tedeschi. Un atto militare in una città occupata. Il giorno dopo le SS il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine massacrarono 335 civili. Come risposta allʼattentato, fu detto. «A via Rasella i partigiani fecero unʼazione di guerra giustificata ed è un falso storico che potevano evitare le Fosse Ardeatine», ribatte il critico letterario.
La Porta, quale filo lega le figure raccolte nel suo saggio?
Il libro indica una costellazione molto personale, non una famiglia omogenea: sono scrittori e intellettuali diversissimi di cui individuo possibili elementi comuni. Tra i quali lʼantifascista Carlo Rosselli perché più vado avanti più credo che la tradizione politica giusta del nostro paese sia quella di Giustizia e Libertà, poi Partito dʼazione che ne fu molto vicino.
La ragione?
Tante, ne dico una: non sottovaluto il valore della tradizione comunista, ma la tradizione prima giellista e del Partito dʼazione poi antepone lʼindividuo al collettivo. E lʼautonomia dellʼindividuo oggi per me è il valore più alto dal punto di vista politico e civile. Ma i comunisti e i cattolici hanno sempre diffidato dellʼindividuo.
Oggi invece non mancano partiti di riferimento?
Il problema non è il partito: bisogna partire dai movimenti, dagli organismi di base. Anche lo storico più accreditato del Partito dʼAzione, Giovanni de Luna, ha parlato di un antifascismo esistenziale.
Cosa vuol dire?
Vuol dire privilegiare le reti dei rapporti tra le persone: parte da lì lʼantifascismo, dobbiamo creare anticorpi al fascismo nella nostra vita quotidiana.
Ma come la mettiamo? Si commemora lʼeccidio nazista delle Fosse ardeatine e mentre un Comune vuole intitolare una piazza ad Almirante, che tra le tante diresse la rivista La Difesa della razza. Tajani ha dichiarato che Mussolini ha fatto anche cose buone. Come si risponde?
In quel quartiere si deve mobilitare la gente, credo nella mobilitazione delle persone, in momenti di resistenza. Per Carlo levi non bastava sconfiggere il fascismo in sé ma dentro di noi. Cinquanta anni dopo Giorgio Gaber cantava che non lo spaventava Berlusconi in sé ma quello in lui stesso. Anche qui lʼaccento torna sullʼindividuo e sulla coscienza. Per far politica devo partire dalle mie paure. Come fa Salvini.
Salvini?
Lui usa in modo davvero strumentale i migranti, li fa diventare unʼemergenza nazionale: è falsa, ma anche io ho paure e insicurezza in certi quartieri di Roma. Allora bisogna partire dalla propria sensibilità, dalla propria capacità di iniziativa, dalla propria immaginazione politica. Diffido dei partiti, ma non voglio affatto eliminarli, quanto ridimensionarli e usarli come strumento di una lotta politica che si svolge altrove. Invece credo molto nellʼindividuo: è la vera eredità del Partito dʼazione mentre Togliatti non ci credeva, come oggi non ci crede Mario Tronti. La mia tradizione è libertaria, lʼauto governo è la migliore scuola di civismo politico.
E Piazza Almirante?
La gente si mobilita, ne discute, lì si forma il cittadino responsabile e consapevole, il che è lʼhumus della democrazia, mentre Togliatti diffidava dellʼautonomia degli individui perché avrebbe limitato il ruolo dei partiti. Pure Machiavelli scrisse che lʼantidoto più forte contro ogni tirannide è se le persone hanno fatto esperienza della libertà. Per questo credo molto nella rete dei contropoteri, nelle esperienze di base dove si forma il cittadino responsabile e geloso della libertà, in una dimensione politica e civile: questa è la garanzia migliore contro i vari Salvini e contro una possibile involuzione autoritaria. Voglio dirlo, lo squadrismo ancora non cʼè.
Non cʼè, però il clima si fa pesante …
Però vedo rischi nella mentalità. Giuliano Ferrara ha giustamente detto che Salvini ha sdoganato il “cattivismo”, ed è pernicioso.
Lei include anche il partigiano Bentivegna tra i maestri del ʼ900.
La tradizione azionista ha dei limiti. Lo stesso Norberto Bobbio che nel 1942 aderì al Partito dʼazione clandestino parlò di un moralismo predicatorio e di élite. È anche vero perché lʼAzionismo non ha mai avuto rappresentanza politica: ha vinto battaglie come i referendum sul divorzio e sullʼaborto con Marco Pannella che veniva da lì, ma ha come limite una certa etica dellʼeroismo. In questo senso nel libro ho recuperato Rosario Bentivegna. Comunista, stava nei Gap, i Gruppi di azione partigiana, era nel Partito comunista italiano nel 1943. Lʼho citato perché con molta onestà in una riflessione su via Rasella disse che il terrorismo è giustificato solo in due casi: dittatura e occupazione di una terra.
Lʼazione dei partigiani in via Rasella non fu terrorismo: Roma era occupata dai nazisti.
Chiarisco: per me via Rasella fu unʼazione di guerra giustificata compiuta con armi di guerra in una città dove i tedeschi non rispettavano lo statuto di “città aperta”, facevano rastrellamenti. La considero unʼazione sacrosanta. Non è vero che i partigiani si sarebbero potuti consegnare: è un falso storico dellʼestrema destra entrato nel senso comune se perfino i miei genitori, che non erano fascisti, erano convinti che i partigiani si potevano consegnare ed evitare la strage delle Fosse Ardeatine. I nazisti fecero lʼeccidio nel più breve tempo possibile come ordinato dal Führer Hitler.
Qual è “lezione” di Bentivegna?
Nella sua riflessione ha invitato a capire: signori, ha detto, ho combattuto dalla parte giusta, non sbagliata, ma per una scelta in gran parte casuale perché le scelte sono determinate da mille circostanze. Quella riflessione di Bentivegna diminuisce la separazione tra certi eroi e la gente comune. Ha detto che da partigiano era dalla parte giusta ma anche casualmente. A mio giudizio questa visione tempera e ci aiuta a ridimensionare lʼenfasi di quel tipo di etica aristocratica dellʼeroismo. Detto questo, non darei sepoltura ai repubblichini di Salò.