La satira disturba il potere in carica. Anche quello leghista-pentastellato. Quindi ed è in buona salute. Lo conferma Vauro Senesi, che si ritrova in pochi giorni in mezzo a due burrasche mediatiche che al di là dellʼimmediato ricordano come il pensiero critico tramite la risata o il sorriso piacciano poco ai manovratori.
Dapprima è stato indicato con foto, nome e cognome da Matteo Salvini tra coloro che oggi sabato 8 dicembre non saranno alla manifestazione romana della Lega. Poi ieri si è scontrato con Marco Travaglio che gli ha contestato una vignetta sul Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli per il Fatto quotidiano. Il direttore ha poi pubblicato la vignetta chiosando che se il vignettista toscano «leggesse» il giornale in cui pubblica i suoi lavori «saprebbe che è in corso unʼanalisi costi-benefici sul Tav come su tutte le opere pubbliche, disposta da Toninelli, al termine della quale il governo valuterà quali opere siano utili e quali inutili. E, a quanto ci risulta, l’analisi sul Tav dirà che è totalmente inutile e diseconomico». «Io non ho parlato di censura, ho scritto decisione di non pubblicare. Tale decisione rientra in pieno nelle prerogative di un direttore, cʼè però anche il diritto di un redattore, quale io sono, di contestare tale decisione», scrive il vignettista e scrittore pistoiese su Facebook. Tra giornalisti è usanza dare il «tu» perciò ci adeguiamo alla tradizione.
Vauro, la satira non viene digerita?
Faccio il vignettista politico da più di 40 anni, quindi mi esprimo tramite la vignette, tramite il linguaggio satirico. La mia opinione e la mia impressione su Toninelli, opinione che mi pare molto condivisa, è che sia un temporeggiatore. In una intervista alla domanda se era un “no tav” ha risposto no. Dʼaltronde la storia politica recente dallʼIlva al Tap qualcosa suggerisce. Detto questo specifico che sono un vignettista: il linguaggio della satira è fatto di sintesi e paradossi, porta allʼesasperazione di qualsiasi elemento di dubbio.
Sul settimanale Left nel numero del 16 novembre scorso ti sei autoritratto come “Lo sciacallo”.
Michele Santoro e io fummo definiti così da Maurizio Gasparri e da allora abbiamo preso questa denominazione.
Beh, ora anche Di Maio parla di sciacalli: i giornalisti.
Sì, è il governo del cambiamento, quello del principe Tomasi di Lampedusa, cambiar tutto per non cambiare niente.
Sempre in quella pagina su Left hai scritto: «Non ho la vocazione né al martirio né allʼautocommiserazione. Ho la vocazione allʼallegria del gioco. È lʼallegria in fondo quella che potenti e prepotenti temono più dellʼinvettiva».
La satira ha sempre avuto il gioco dellʼallegria per togliere il pastrano di serietà e autorevolezza a persone potenti. Sul potere della satira mi piace citare Majakosvkij che, in una poesia dedicata a Sergèj Esènin, scrisse:«Per lʼallegria / il pianeta nostro / è poco attrezzato». La satira è anche uno strumento di lotta
Ed è uno strumento culturale?
Direi di sì. Nel caso della satira disegnata cʼè il disegno dentro, cʼè una ricerca di una propria estetica.
Lo stato di salute odierno della satira in Italia?
LʼItalia ha prodotto grandi autori di satira. Ci sono state strozzature come il fascismo che ammetteva la barzelletta e non la satira, ma su questo piano sono ottimista: anche se vedo meno autori, lʼincisività della satira è molto vitale, infatti si cerca sostituirla con la comicità.
Perché la comicità è politicamente inoffensiva?
Sì, non ho nulla contro comicità ma la satira è unʼaltra cosa: non ha come scopo unico e principale suscitare la risata come la comicità,
Qual è il suo scopo principale?
È combattere sempre e comunque ogni forma di conformismo sia politico che sociale e ogni forma di fanatismo.
Tra coloro che non partecipano alla manifestazione romana della Lega il partito di Salvini ha pubblicamente segnalato anche te.
Siamo alle foto segnaletiche è un buon segnale.
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