Enzo Verrengia
Mucchio d’ossa, come nel titolo del romanzo di Stephen King. Lo evocano i resti anatomici trovati sotto la sede della nunziatura apostolica. Ed è subito un riandare alla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori.
«In Italia l’83% dei casi di omicidio è risolto, il restante 17% attende giustizia. La percentuale dei due eventi e lo scarto relativo sono chiari indicatori delle indiscusse capacità investigative dei nostri addetti. Però e purtroppo, due as¬sassini su dieci girano liberi, sicuramente felici e impuniti.» Lo si leggeva anni fa in Detective & Crime, una rivista i cui redattori cercavano di andare oltre la cronaca nera per analizzare i casi più controversi.
Più debole l’ipotesi Orlandi: le ossa trovate alla Nunziatura di una donna adulta
Quello della Orlandi, che pesa sulla memoria collettiva del Paese da venticinque anni, non deve oscurare gli altri, numerosissimi, insoluti, il cui riepilogo viene da fare non in ordine cronologico bensì tenendo conto del loro impatto mediatico.
Wilma Montesi, uccisa da un’overdose nel 1953
La madre di tutte le morti misteriose è la vicenda di Wilma Montesi, trovata l’11 aprile 1953 sulla spiaggia di Torvajanica. Non ha segni di violenza e le cause del decesso vengono attribuite a un malore. In un memoriale consegnato mesi dopo al ministro dell’Interno Amintore Fanfani, si affermava che la ragazza sarebbe stata uccisa da un’overdose durante un festino con la presenza di Piero Piccioni, figlio del ministro degli esteri. La carriera del politico democristiano ne risulta stroncata. Si favoleggia di festini a base di droga cui partecipano eminenti personalità della politica, dello spettacolo e perfino del clero. Il tutto in completo contrasto con la vita apparentemente ineccepibile della Montesi, proveniente da una dignitosissima e laboriosa famiglia della piccola borghesia romana. Più tardi in un libro di Paolo Emilio Taviani si lesse che Piero Piccioni il giorno del delitto si trovava con una nota attrice. Era Alida Valli, e il musicista non aveva voluto citarla a sua discolpa per non comprometterla.
Simonetta Cesaroni e la contessa Alberiga
Più vicino nel tempo il clamore suscitato dalle 29 coltellate inferte a Simonetta Cesaroni, una ventunenne che lavora in un sobrio edificio di via Carlo Poma 2, nel quartiere Prati di Roma, presso l’Associazione italiana alberghi della gioventù. È il pomeriggio di martedì, 8 agosto 1990. La giovane è rinvenuta seminuda. L’assassino rimane sconosciuto. Come quello della Cesaroni, dopo il fermo e il successivo scagionamento del portiere Pietrino Vanacore, che però si suicida nel 2010. Anche qui, le circostanze sono sospette. Il suo corpo viene ritrovato nelle acque di Maruggio, vicino Taranto, a pochissima profondità.
Il 10 luglio viene trovata in condizioni analoghe a quelle della Cesaroni la contessa Alberiga Filo della Torre. La donna ha subito un vero e proprio massacro, nella camera da letto. Stordita forse con uno zoccolo e strangolata. Perché sono spariti solo pochi gioielli, mentre l’orologio è rimasto al polso della vittima? Sospettati il cameriere filippino Manuel Winston e un vicino, Roberto Jacono, figlio dell’insegnante dei due figli della contessa. Ambedue scagionati dalla prova del DNA. Sul luogo del delitto, era giunto Michele Finocchi, del SISDE, accusato di essersi appropriato di fondi riservati del servizio segreto civile. A complicare tutto, l’amante del marito della contessa, Pietro Mattei, spedisce al giudice Di Pietro il vestito indossato dall’uomo il giorno del delitto. Si era all’epoca di Mani Pulite, e il reperto fu girato al magistrato responsabile delle indagini, Martellino, che fa effettuare una nuova perizia del DNA sul capo, con esito negativo. Infine, nella vicenda spunta Franklin Yung, un imprenditore cinese, vicino alla famiglia, legato per affari al marito della contessa. Il suo alibi ha delle discrepanze. Nel 1996 il caso viene congelato. Salvo riaprirlo nel 2007 e arrivare alla condanna definitiva di Manuel Winston, domestico filippino licenziato qualche tempo prima del delitto.
Contessa Vacca, manca l’ultima tessera
Ancora ai piani alti della società. Villa Altachiara, la magione in stile liberty della contessa Vacca Agusta, adagiata tra i pini sulle alture di quella Portofino oggi devastata, evoca un giallo a incastro, dove manca l’ultima tessera del mosaico. La sera dell’8 gennaio 2001 Francesca, 58 anni, vedova di Corrado, il re degli elicotteri, esce dalla lussuosa residenza con un solo accappatoio bianco a coprirla. «Vado a farmi una nuotata in mare» avverte alzando la voce. Il tempo atmosferico non è di quelli più invitanti.
Piove e l’aria si rinfresca. La contessa sparisce. La cercano, senza risultato. Francesca Vacca Agusta somiglia alla Rita Hayworth di Gilda, e la sua fine non tarda ad assumere i contorni tenebrosi di un noir hollywoodiano degli anni ’40. Ad avvertire in piena notte i carabinieri è Maurizio Raggio, ex compagno della donna. Un playboy che ha avuto molto da spiegare ai magistrati milanesi di Mani Pulite, implicato nelle trame di corruttela mai del tutto chiarite del PSI di Craxi, grande amico del conte Corrado. Per Raggio la donna ha subito anche una detenzione. Ora si consola fra le braccia del messicano Tirso “Tito” Roncado Chazaro.
Il corpo della contessa verrà ritrovato il 22 gennaio sulla Costa Azzurra. A riconoscerlo servirà la fede paterna, che lei non si toglieva mai. Malore, suicidio o omicidio? La villa sarà ereditata da Raggio, contro il quale viene emesso nel giugno 2013 un ordine di cattura per motivi fiscali, poi revocato.
Fuori dalle statistiche delittuose
C’è poi un mistero che non rientra nelle statistiche propriamente delittuose, ma che segna la storia italiana contemporanea, la sparizione volontaria di Ettore Majorana, il più geniale dei Ragazzi di via Panisperna. Una figura protagonista di tanta finzione, nel cinema, in televisione, nei romanzi e perfino nei fumetti.
«…Preparando dunque la propria scomparsa, organizzandola, calcolandola, crediamo baluginasse in Majorana –in contraddizione, in controparte, in contrappunto– la coscienza che i dati della sua breve vita, messi in relazione al mistero della sua scomparsa, potessero costituirsi in mito.» Non un’inchiesta per fornire la certezza delle notizie, bensì un riepilogo di tasselli che componevano l’enigma. Con un’unica ipotesi definita. Sciascia era convinto che Majorana non si fosse suicidato, come vociferato da più parti.
Due anni fa è uscito il libro La seconda vita di Majorana, di Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi e Andrea Sceresini. Tre giornalisti freelance scoprono tracce di una permanenza del fisico in Argentina, negli anni ’50.
Per tutti i misteri e delitti irrisolti d’Italia si potrebbe affermare che consistono in una sospensione della conoscenza storica, buchi neri della memoria che assorbono il presente in un cuore di tenebra fatto di ipotesi, congetture e disperazione per verità negate.