L’Accademia della Crusca, con l’Istituto Cnr Opera del Vocabolario Italiano (Ovi), in vista del centenario dantesco del 2021 ha avviato un grande Vocabolario destinato a raccogliere l’intero patrimonio lessicale contenuto nelle opere di Dante, sia volgari che latine. Pubblicate le prime 200 schede. Ha spiegato il progetto, affidato meritoriamente a giovani ricercatori, la sua presidente Paola Manni in un incontro nell’istituto con sede a Firenze. Di seguito una sintesi della presentazione a cura dell’ufficio stampa della Crusca.
Paola Manni: un Vocabolario dantesco non è una “quisquilia”
Perché oggi è necessario un Vocabolario Dantesco? È già dall’Ottocento che sono stati avviati lavori analoghi. È proprio dall’Ottocento che si sente la necessità di scandagliare a fondo il lessico di Dante e della Commedia in particolare. Su questa spinta nel 1917 la Crusca, in accordo con la Società Dantesca, decise di avviare un Vocabolario delle opere volgari di Dante, affidandolo a Francesco Maggini. Il lavoro restò però incompiuto alla voce “limitatore”.
Oggi quel progetto può contare sulla collaborazione dell’Istituto Opera del Vocabolario Italiano Ovi del Cnr e il Tlio (Tesoro della Lingua Italiana delle Origini) e può essere portato a termine proprio grazie ai metodi informatici applicati alla ricerca linguistica.
È nota la persistenza nel lessico contemporaneo di una solida base “dantesca”. Il Grande Dizionario dell’uso di De Mauro (Gradit), rileva infatti 2174 lemmi danteschi. Ma addirittura possiamo notare, ad esempio, che il tasso di “sopravvivenza” ai nostri giorni dei lemmi danteschi inizianti per A- è addirittura dell’82%. Il sigillo di uso dantesco è garanzia di sopravvivenza nei secoli.
La realizzazione di questo progetto, oltre che necessaria, è doverosa per Firenze e la Crusca, dato anche l’avvicinarsi del centenario dantesco del 2021.
Un esempio: la parola “quisquilia” è un latinismo che dante introduce e la cui fortuna gravita senz’altro nell’orbita della commedia. L’unico precedente di fine Duecento, è usato in un volgarizzamento mantovano e significa pula, residuo della trebbiatura del grano. Dante usa il termine una sola volta, nel XXVI canto del Paradiso (al verso 76). Si tratta di un canto particolarmente significativo che segna un punto decisivo nel’ascesa di Dante pellegrino verso la contemplazione divina. “così de li occhi miei ogne quisquilia / fugò Beatrice col raggio d’i suoi / che rifulgea da più di mille milia”. Grazie a Dante e poi alla mediazione del Vocabolario della Crusca la parola arriva fino a noi. Nel Vocabolario della Crusca infatti la parola muta poi significato, passando da quello di superfluità, a quello di inezia, bazzecola, significato pressoché assente in epoca medioevale, ma è solo grazie a Dante che è arrivata fino a noi.
Il sito del Vocabolario dantesco
Il sito dell’ Accademia della Crusca
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