Venerdì, al bar di Piazza di Siena, una signora con un chiaro accento nordico, lamentandosi per il ritardo della sua ordinazione (che lei aveva cambiato un paio di volte), ha detto: «Ogni volta che si scende sotto il Po, non funziona più un ***». Evidentemente la signora non ha mai partecipato a L’Eroica.
L’Eroica è una corsa non competitiva per biciclette d’epoca nata sulle strade bianche della Toscana, ma adesso esportata anche in altri Paesi d’Europa e del Mondo: Spagna, Inghilterra, California, Giappone, Sud Africa e Uruguay.
Domenica si è corsa l’edizione di Montalcino.
Le regole per partecipare sono semplici: le biciclette «eroiche» devono avere le caratteristiche costruttive delle bici fine anni ’80: leve del cambio sul tubo obliquo del telaio, fermapiedi a gabbietta sui pedali e fili dei freni esterni al manubrio.
La bicicletta “eroica”
Gli atleti «eroici» sono invitati a utilizzare accessori e capi di abbigliamento esteticamente coerenti con lo spirito ri/evocativo della manifestazione come maglie e pantaloncini di lana, evitando di mostrare capi tecnici di recente fattura; unica deroga: il casco, per ragioni di sicurezza).
Vedendoli pedalare sotto il sole, in sella a biciclette del secolo scorso, con maglie variopinte decorate dai nomi dei più improbabili sponsor, la prima cosa che ti viene da pensare è: «Ma chi glielo fa fare?» e invece è proprio questo, il fascino dell’Eroica; il problema è che non lo capisci finché non lo vedi vivi.
A me è successo alla fine di uno sterrato, un po’ prima di arrivare al punto di ristoro di Tavernelle: prendendo la borraccia per bere mi sono reso conto che quello che avevo appena fatto era un gesto antico, come impastare il pane o girare il caffè nella macchinetta. A parte alcuni piccoli particolari (come la quantità di acido lattico nei muscoli, l’orologio/GPS/cardio-frequenzimetro della Garmin, lo smartphone e la macchina fotografica digitale nello zaino), in quel momento io stavo vivendo le stesse sensazioni dei ciclisti che da bambino vedevo nel televisore in bianco e nero a casa di mia nonna.
Non si possono spiegare la bellezza della fatica e il gusto dell’impresa, a chi pensa che per essere considerato “sportivo” basti seguire le vicende del calcio in TV, ma se ci si avvicina a questo mondo con lo spirito giusto è impossibile non restarne affascinati e quando questo avviene, tutte quelle che inizialmente sembravano delle complicazioni diventano fonti di piacere: la bicicletta “scomoda” i vestiti “vecchi”, la strada polverosa (senza virgolette: le strade dell’Eroica sono polverose).
Indubbiamente c’è una forte componente narcisistica nel partecipare all’Eroica, ma si esaurisce appena viene dato il via, perché dal quel momento in poi il défilé è finito e si può solo pedalare; e quelle stesse biciclette che prima della gara sono state pulite e curate in maniera maniacale, di lì a breve saranno lanciate su discese sterrate che sarebbe arduo affrontare in mountain-bike.
L’Eroica non è una competizione, ma un gruppo di amici che si riunisce per celebrare i valori più sani dello Sport. Te ne accorgi appena arrivi a un punto di ristoro: quelli che hai intorno non sono avversari, ma compagni d’arme. Domenica, anche se ero da solo, non sono mai stato solo: c’era sempre qualcuno con cui parlare del tempo, del percorso o della ricetta della ribollita.
Ci sarebbero molte altre cose da raccontare, dall’organizzazione impeccabile all’inaspettata percentuale di concorrenti di sesso femminile, ma per adesso basta così.
A Ottobre ci sarà l’edizione di Gaiole.
Ne riparliamo.
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