di Enzo Verrengia
Luca Traini è l’eroe della pancia più piena di borborigmi del Paese. Il razzismo, il tricolore, le effigi di Mussolini fanno da trista scenografia, ma il problema vero sta altrove. Imperversa la sindrome di Paul Kersey, il giustiziere della notte della saga interpretata da Charles Bronson. Come per lui, il cittadino “normale” prova ammirazione e l’impulso irrazionale di delegargli una tutela della sicurezza che non avverte di più da parte dello Stato, delle istituzioni, della stessa comunità civile. Il barista di Macerata che rimprovera allo scatenato dal grilletto facile solo di poter colpire qualcuno, come se quelli davvero colpiti non esistessero, ha la bonarietà di provincia che vorrebbe conservare la riconoscibilità del proprio territorio e invece l’ha perduta.
Accadde lo stesso nella New York reale e non nella finzione di Bronson. Il 22 dicembre 1984 l’informatico Bernhard Goetz fece fuoco cinque volte contro quattro aggressori che lo minacciavano con accattonaggio aggressivo nella metropolitana della Grande Mela. Divenne all’istante il Subway Vigilante.
Ed ecco il tiro al bersaglio migrante per le strade di Macerata, una città da film di Pietro Germi, non certo da Sam Peckinpah o da John Carpenter di 1997 Fuga da New York. Ma la tentata strage razzista di Luca Traini ha un brutto sapore di altra America, non tanto quella del vigilantismo. L’ha raccontata Stefano Pistolini nel suo saggio Gli sprecati, datato ormai da venti anni, eppure validissimo ancora. Lì riferisce di cosiddetti drive-by shootings, sparatorie da auto di passaggio, nelle Quad Cities, fra l’Illinois e lo Iowa. È l’ennesima importazione dal di là dell’Atlantico di un modello deragliato di convivenza (in)civile. Scrive Pistolini: «Il sistema americano contiene organicamente in sé il seme della violenza».
In Italia la cosa si aggrava con la pressione migratoria. Macerata subisce una metamorfosi forzata da centro studentesco e borghese a contenitore di nuove aggregazioni, con deriva criminale. Lo smembramento di Pamela Mastropietro, di cui finora è accusato il nigeriano Innocent Oseghale (non dell’omicidio), la cui colpevolezza è ancora soggetta a indagine e che forse ha un complice, reca le tracce sinistre di un rituale voodoo. Ora, quando si parla di culture in arrivo dall’Oriente e dall’Africa, viene del tutto ignorato il loro lato oscuro. Compresa la pratica sanguinaria di un paganesimo ultraviolento. Si aggiungono lo spaccio, le aggressioni, i furti e le violenze sessuali ai danni di una comunità borghese, già toccata dalla crisi economica che ha penalizzato e deprezzato le Marche. I mobili sottocosto di produzione cinese erodono posti di lavoro e benessere nel maceratese, e anche nell’anconetano e nel pesarese. La paciosa gente del posto, con il caratteristico accento che chiude le frasi in levare, non riconosce più il proprio territorio.
Anche in Puglia. Il rogo del ghetto di Rignano ha riversato a San Severo e nelle città della Capitanata centinaia di disperati senza né arte né parte, che passano dallo sfruttamento cui li sottoponevano i caporali al mercato della droga o, quando va meglio, all’elemosina per le strade, che diventa molesta. A rincarare le sacche criminali organizzate della mafia autoctona, la Società.
Il quartiere ferrovia di Foggia, Borgo Mezzanone e altri punti caldi del capoluogo dauno sono polveriere, già esplose. La reazione diviene ugualmente pericolosa. Le ronde organizzate dai gruppi di estrema destra rischiano di apparire efficaci a una popolazione che chiede solamente sicurezza, non pulizie etniche.
Si tratta di paura, confermata dagli episodi che i media cavalcano in modo capzioso e contraddittorio. Si passa dalla censura del politicamente corretto al marchio d’infamia. Di contro, nel caso di Amanda Knox, dai telegiornali giunse a bombardamento l’espressione “il pugliese Raffaele Sollecito”. La xenofobia va bene se la si fa in casa, ripescando i pregiudizi antimeridionali ormai accantonati anche dalla Lega di Salvini. Quanto all’accusa di cui è tacciato quest’ultimo, di essere il mandante morale a Macerata, capovolge quella da lui mossa contro lo stato per l’omicidio della Mastropietro, che è il focolaio scatenante della mattina di terrore a Macerata.
Non ci sono pause nella grandinata delle notizie. Allora conviene distaccarsene e riflettere.
Non è che non si sia stati capaci di governare il flusso migratorio. Più semplicemente, o nient’affatto semplicemente, lo si è accettato senza condizioni. Perché faceva e fa comodo a chi vi specula sia per soldi che per politica. Negli anni ’50, ’60 e ’70 l’Africa fu insanguinata da guerre atroci che non provocarono esodi. Chi ricorda il Biafra, dove fecero straordinari reportage Goffredo Parise e, sul versante opposto, Frederick Forsyth? In tempi più recenti, il Rwanda, dove gli Utu sterminarono i Tutsi, i popolari Watussi di Edoardo Vianello, perché troppo alti. Nel Congo prosegue un conflitto civile con centinaia di migliaia di vittime senza che se ne parli.
Situazioni che non hanno prodotto migranti. Invece quelli che arrivano, in larga parte, cercano un futuro che non possono più trovare. Il flusso si arresta nella palude italiana, da dove non c’è più sbocco verso l’Europa del nord. La Brexit ha di fatto innalzato un muro contro il quale andranno a sbattere anche gli italiani. Non avranno vita facile gli 800 mila connazionali che vivono sotto Sua Maestà e iniziano a scontare l’insofferenza dei britannici, mai teneri con gli stranieri.
Alla vigilia dell’elezione di Trump, che prometteva la costruzione del muro con il Messico, uno spacciatore di Tijuana dichiarava sfrontatamente alle telecamere: «Non ci fermerà nessuno. Noi smerciamo un prodotto, la droga, per cui c’è grande richiesta negli Stati Uniti. Non facciamo che offrire un servizio».
In tutto questo, il razzismo non c’entra niente. È solo che le persone non sono plastilina o colori di una tavolizza che si possono mescolare con la globalizzazione. I temperamenti reagiscono e si avvera un’altra citatissima profezia del grande Ennio Flaiano: «Se i popoli si conoscessero meglio, si odierebbero di più».