di Stefano Pignataro
Alberto Guareschi, classe 1940, richiama molto il padre. Ha infatti, oltre lo stesso sguardo, anche un po’ lo stesso carattere deciso e a tratti malinconico di suo padre Giovannino, scrittore emiliano di Fontanelle di Roccabianca dalla cui fantasia nacquero i celebri personaggi letterari e cinematografici di Peppone e Don Camillo. Alberto, che dirige il Centro Studi Giovannino Guareschi situato a Roncole Verdi, da anni è impegnato a tenere viva la memoria e l’opera del padre. Sino a due anni fa, lo assisteva anche la sorella Carlotta, citata da Guareschi padre in molti racconti come La Pasionaria. Dopo la morte di Carlotta, avvenuta nel 2015, Alberto, con disponibilità e passione, cura da solo l’Archivio storico ed è a disposizione di studiosi, docenti universitari, turisti e soprattutto studenti che hanno deciso di diplomarsi o si laurearsi proprio sull’opera del padre. “Io e mia sorella Carlotta abbiamo seguito decine di tesi di laurea e tesine di maturità. Ci rende felici ed orgogliosi sapere che nostro padre piace anche alla nuova generazione”.
I racconti del parroco battagliero Don Camillo contro il sindaco comunista Peppone, resi immortali dalle trasposizioni cinematografiche con protagonisti Fernandel e Gino Cervi nei panni rispettivi dei due, sono opere della nostra letteratura per comprendere a fondo lo spaccato dell’Italia che dalla ricostruzione si avviava a divenire un Paese industriale con i suoi dubbi e le sue paure ben espresse nei personaggi della “Bassa” descritti da Giovannino Guareschi.
Come spesso accade a tutti gli scrittori, Giovannino Guareschi fu ignorato da vivente e riscoperto postumo: i suoi Don Camillo hanno venduto oltre venti milioni di copie vendute in tutto il mondo e i suoi libri sono stati tradotti in quasi tutte le lingue, tranne il cinese; ignorato quasi totalmente dai maggiori intellettuali del Dopoguerra, condirettore e direttore de Il Candido negli anni 1945-57), prima collaboratore de Il Bertoldo (1936-43), sotto la direzione di Cesare Zavattini, Giovanni Mosca, Vittorio Metz, fu più volte osteggiato dalla critica e dal Regime fascista finendo anche nei campi di concentramento nei primi anni Quaranta, nei campi di Czestochowa e successivamente di Alessandria.
Alberto, come spesso accade agli scrittori dai cui lavori vengono tratte opere cinematografiche, gli stessi non si riconoscono sempre con i film. Hai più volte ha fatto notare che alcuni film sono stati visti da voi addetti ai lavori tutti come una sorta di “tradimento letterario”. Da che punto di vista? Ed attraverso quali passaggi Don Camillo dalla Letteratura passò al cinema?
I più celebri registi italiani di quel periodo, sto parlando del 1951, si rifiutarono categoricamente di girare il film. Il motivo? Semplicemente perché avevano timore di poter dare troppo fastidio al Partito Comunista.
Quindi tuo padre, da anticomunista, si riconosceva più in Don Camillo…
Esattamente. Il segreto per abbattere la paura che si ha per qualcuno è metterlo in ridicolo. Mio padre, che era non solo un grande scrittore, ma anche un grande umorista, metteva in ridicolo i comunisti. Angelo Rizzoli, che era il produttore del film, dovette cercare un regista all’estero e scelse Julien Duvivier realizzando una coproduzione italo-francese. Duvivier era anche lui leggermente di sinistra, ma in quel periodo aveva bisogno di lavorare e quindi accettò la proposta. Io dico per fortuna. Era un bravissimo regista, io credo il migliore in assoluto. Era talmente bravo che mio padre disse di lui che “era così bravo che si poteva permettere il lusso di essere antipatico”. E antipatico lo era davvero, lo stesso mio padre ha avuto diversi battibecchi con lui. Dopo Duvivier, che girò il primo Don Camillo, uscito nel 1952 e Il ritorno di Don Camillo, uscito nel 1953, Carmine Gallone realizzò Don Camillo e l’Onorevole Peppone (1955) e Don Camillo Monsignore … ma non troppo (1961). L’ultimo film merita un discorso a parte.
Il libro ed il film che maggiormente mettono a confronto i due personaggi è il Compagno Don Camillo.
Esatto. Angelo Rizzoli dovette ricattare Luigi Comencini che fu il regista del film. Comencini aveva un vecchio debito con lui; “Se giri il Don Camillo ti abbuono il debito” gli disse e lui, purtroppo non potè fare altro che accettare. Dico purtroppo perché, anche se complessivamente, è un buon film, Il compagno Don Camillo è un grande tradimento nei confronti del libro di mio padre. Molte sono le parti completamente stravolte: nel libro i compagni che vanno i Russia sono degli eletti tra tutti i comunisti d’Italia, nel film sono i comunisti del paesino di Peppone, nel film il compagno Oregov è quello che li accompagna in giro per la Russia dunque conosce l’italiano, nel libro non lo sa. Oregov, nel film, è il personaggio che rivela a Don Camillo, facendolo impaurire che i servizi segreti sovietici sapevano già da tempo che lui era un prete, mentre nel libro se ne accorge nell’episodio più drammatico: il battello in cui il nostro protagonista si trova con alcuni compagni sta per affondare e la situazione si risolve grazie a Don Camillo che alza la croce verso i comunisti benedicendoli e facendo calmare le acque. Oregov, inoltre, scompare tra i flutti del mare dopo essere stato scaraventato in mare da un pugno del Capitano del battello. Tutto questo nel film non c’è.
In compenso, il racconto del compagno che si distacca dalla compagnia in gran segreto per cercare la tomba del fratello morto durante la seconda guerra mondiale è fedele ed è presente sia nel libro, che nel film, non è così?
Sì, quello è fedele. Mi piacque anche la musica di fondo che inserirono.
In qualche modo fedele è anche la descrizione della figura di Nadia Patrovna, l’accompagnatrice che nel film poi ha una storia d’amore con Nanni Scamoggia.
Sì, ma anche la sua figura si inserisce nell’economia della vicenda del compagno Oregov che è molto adattata.
I personaggi di Peppone e di Don Camillo sono stati totalmente frutto della fantasia di tuo padre o tratteggiano personalità precise realmente esistiti?
Mio padre non ha inventato nulla. Il personaggio di Peppone fu ispirato alla figura di Giovanni Faraboli, marxista, mentre Don Camillo era in realtà Don Lamberto Torricelli, un prete diverso fisicamente da Don Camillo ma una cosa avevano in comune: anche lui aveva le mani “grosse come badili”. C’è una foto molto bella, conservata ed esposta al Centro Studi, che ritrae mio padre e Faraboli insieme e sorridenti; due acerrimi nemici politici, ma leali amici, come Don Camillo e Peppone; mai nemici, ma avversari uniti per il bene comune del paese.
Paese, Brescello, che tuo padre nei libri non cita mai.
Non poteva citarlo. Mio padre mutava i nomi dei paesi in cui erano ambientati i racconti del Don Camillo. Un esempio? Il paese Diolo divenne “Piolo” e così tanti altri …
Tuo padre era mai stato in Russia?
No, mai. Non poteva andarci. Se avesse voluto andarci non glielo avrebbero concesso. Non si fidava neanche di quella Terra. Ha sempre attaccato Stalin. Fu l’unico che, alla morte di Stalin, nel marzo 1953, scrisse che era morto un satrapo, un dittatore. Ebbe il coraggio di scrivere che Stalin era nato troppo presto e morto troppo tardi. Disegnò Stalin all’inferno, e per questo fu molto attaccato.
Dopo la “destalinizzazione” del 1956 ad opera di Kruscev, però, non si potè del tutto ignorare le critiche mosse da Giovannino a suo tempo.
Certo, e difatti allora tutti quelli che prima avevano osannato Stalin ed ora lo attaccavano furono incoerenti. Mio padre invece fu sempre coerente con se stesso e con le sue idee.
In tutti questi anni, che funzione hai dato al Centro Studi insieme a tua sorella Carlotta? Per meglio dire, il Centro Studi si prefigge altre finalità, oltre quello di promuovere la ricerca su Giovannino Guareschi?
E’ un centro d’informazione. Chi ha bisogno di qualche notizia legata alla figura di mio padre o ad un determinato periodo storico può venire qui e per il novanta per cento dei casi riusciamo a reperire il materiale che cerca. Il Centro Studi è semplicemente questo; non è un’associazione culturale perché nessuno di noi è un intellettuale; anche mio padre lo diceva “Mi hanno rivolto qualsiasi tipo di insulto, ma “intellettuale” ancora no, perché non lo tollererei. Il Centro Studi dispone anche dell’archivio, che è anche un po’ il suo cuore. Nell’archivio vi si trova la corrispondenza dal carcere di mio padre, le sceneggiature dei film di Don Camillo e, documenti ancora più interessanti, la corrispondenza con i lettori che mio padre aveva conservato. Questa corrispondenza è molto importante perché ci permette di analizzare lo spaccato dell’Italia di allora, i problemi, i timori, le speranze della gente.
Tu dici che tuo padre è stato uno scrittore che ha subito un perenne isolamento e lo snobismo degli scrittori a lui contemporanei. Ma c’è stato uno scrittore “inserito” nel panorama della letteratura italiana con il quale aveva qualche contatto di collaborazione o anche semplicemente una corrispondenza?
No, nessuno. Mio padre non è mai stato considerato uno scrittore, ma un divulgatore di storielle da quattro soldi. Gli unici letterati con i quali andava d’accordo erano i colleghi giornalisti. Neanche con Montanelli, che ha dedicato a lui uno speciale dei suoi “Incontri” aveva rapporti. Montanelli collaborò con Candido, ma poi ritornò subito al suo vecchio amore, al Corriere della Sera. L’unico scrittore con il quale ebbe un buon rapporto fu con il grande Giuseppe Marotta. Recentemente ho ritrovato in archivio una lettera di Leo Longanesi, datata settembre 1937 in cui loda mio padre compiacendosi per il suo impegno vivido e fecondo. Ma mio padre resta lo scrittore più venduto e tradotto al mondo … Non è stato tradotto soltanto in Cina … per la stessa motivazione di mezzo secolo fa: il potere e la censura comunista.
Se tuo padre vivesse nel nostro tempo, la sua penna sferzante e pungente contro quale partito, quale atteggiamento si scaglierebbe?
Partito nessuno. Non esisteva alcun partito al di fuori del suo; avrebbe un atteggiamento tipico di Don Camillo: non considerare nessuno come un nemico ma come un avversario con il quale confrontarsi.