di Marialaura Baldino
‘’L’empatia è evaporata da questa stanza; eppure, è quella che ci tiene insieme come umanità’’. Sono parole non mie, ovviamente. Le ha pronunciate Francesca Albanese, relatrice speciale Onu, qualche giorno fa, in merito a questioni riguardanti il genocidio a Gaza. Tuttavia, queste parole mi sono rimaste in testa, tant’è che ogni volta che le riascolto perché scorro la bacheca di Instagram, non posso fare a meno di risentirle.
E stamattina, nella mia testa, hanno trovato un ulteriore significato.
Oggi, a Napoli, è morto un altro ragazzo, sparato in fronte con un solo colpo. Non voglio entrare nel merito delle modalità e ostentarmi a Nancy Drew, perché non ne ho le competenze e, in realtà, la cosa mi mette talmente tanta tristezza e angoscia che non voglio approfondirle.
Ma è proprio per questa angoscia che c’è una cosa che mi lascia ancora meravigliata (e mi piace che sia così) e sono i pareri della gente espressi sotto i vari articoli di nera pubblicati sui social. Pareri che esprimono da una parte una veemente esasperazione collettiva per questi accadimenti, dall’altra la grande assente di questo secolo: l’empatia, appunto.
‘’Viveva nella città sbagliata’’; ‘’Colpa di Saviano’’; ‘’Tutti questi ragazzi che uccidono un loro coetaneo devono andare in galera e non devono uscire più,, niente colloqui con genitori niente di niente’’; ‘’Finché si uccidono tra di loro’’; ‘’Poteva succedere ovunque e invece la mamma dei cre***i è sempre incinta’’. Sono solo alcuni dei commenti deplorevoli che ho letto e che in un primo momento mi hanno indignata. So che alcuni potrebbero pensare che non è la prima volta che si leggono messaggi simili in merito a questioni simili ma, messi in relazione a quest’ennesimo caso (nell’ultimo mese in meno di venti giorni sono stati uccisi altri due ragazzi in circostanze simili), mi hanno fatto riflettere su quanto davvero l’empatia sia evaporata non dalla stanza dalle quale queste persone scrivono, ma dalla società civile.
Un ragazzo è morto a 18 anni dopo essere stato sparato e (banalmente dico) già solo questo dovrebbe portarci a provare empatia e riflettere sul fallimento comunitario che ha condotto ad una tragedia simile. A pensare, e ammettere, che le istituzioni pubbliche e politiche, la scuola, la fede e la comunità umana hanno fallito non solo con Arcangelo Correra, ma anche con Giovanbattista Cutolo, con Francesco Pio Maimone, con Emanuele Tufano e Santo Romano. Un fallimento che però si deve avere il coraggio di vedere anche negli occhi di pietra dei loro assassini, minorenni, con una vita distrutta alla nascita.
Eppure, la responsabilità morale della questione sembra rimbalzare di ufficio in ufficio, un po’ come di strada in strada rimbalzano queste armi così facilmente accessibili a ragazzi che muovono sul filo della violenza senza dare valore alla vita umana. “Non sono anime perse né mostri – scrive Saviano – vogliono diventare ricchi, essere carismatici e questo, in alcune realtà di prossimità con la criminalità organizzata, te lo concede essere un criminale”.
‘’Ma queste – continua – non sono le regole solo della strada, ma del mondo’’ che, negli occhi di quei giovani che vivono in realtà dove le istituzioni pubbliche hanno fallito, diventano l’unico modo per avere rispettabilità e trovare posto nella società.
E mentre molti fanno a gara a chi riesce a scaricare per primo la colpa sull’altro, come chi dice che è colpa – ancora – di Gomorra o che questi ragazzini emulano Geolier (la sezione online di Napoli del Corriere della Sera, riferendosi ad Arcangelo Correra scrive così: ‘’Un ragazzo come tanti. Baffetti e capelli curati e pettinati all’indietro, alla Geolier, perché quella sì, è un’icona di tendenza’’), le paranze aumentano, i morti anche e con loro la disperazione per una realtà che diventa sempre più umanamente insostenibile.
Un altro ragazzo oggi a Napoli è morto; un giovane che aveva ancora tutto, o quasi tutto, da provare e con lui se ne va quel po’ di empatia che ci era rimasta.