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L’inciviltà della comunicazione e il post di Michele Riondino

Il post shock del “Giovane Montalbano” richiama Piazzale Loreto. È stata una caduta di stile clamorosa perché pur in un clima politico e culturale sempre più conservatore è insensato contestualizzarlo a quello del 1945

L’inciviltà della comunicazione e il post di Michele Riondino
Il Presidente del Senato Ignazio La Russa e l'attore/regista Michele Riondino
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2 Maggio 2024 - 11.44


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di Lorenzo Lazzeri

Il 28 aprile 1945, Benito Mussolini venne giustiziato a Giulino di Mezzegra davanti al cancello di Villa Belmonte, da membri della 52° Brigata Garibaldi a poche ore dalla sua cattura, insieme a Claretta Petacci colpevole di esserne l’amante. Il suo corpo martoriato con il volto irriconoscibile fu esposto a testa in giù insieme a quelli di altri gerarchi fascisti catturati nella zona di Dongo. È l’episodio passato alla storia come “Piazzale Loreto”, violento e oscuro che resta nella memoria collettiva evocando immagini di giustizia popolare sommaria e di vendetta.

Recentemente, quel passato è tornato a rimbombare. L’attore e regista Michele Riondino, noto per aver interpretato “Il giovane Montalbano” nella serie tv tratta dai racconti di Andrea Camilleri, ha postato su Facebook una foto datata, capovolta, di Ignazio La Russa con alcuni compagni che, abbinato a commenti polemici sulla connivenza ideologica del Presidente del Senato con il passato neofascista, ne sottolineava la macabra similitudine.

La caduta di stile di Riondino è stata clamorosa perché, pur in un clima politico e culturale sempre più spostato sul fronte conservatore, è insensato accostarlo agli eventi del 1945. C’erano le rovine della guerra ancora fumanti, i morti da poco sepolti e ancora tante ferite fisiche e psicologiche della violenza del ventennio.

È necessario invece riportare al centro del dibattito il fatto che stiamo ancora all’interno di quella Costituzione democratica e liberale nata sull’antifascismo e non sulla vendetta. Per questo molti hanno dato solidarietà a La Russa. Lo ha fatto anche Gennaro Sangiuliano, il distratto Ministro della Cultura che, stavolta, ha avuto gioco facile nel ritenere che il metodo usato da Riondino rievocasse gli stessi atteggiamenti fascisti che intendeva denunciare. Lo hanno fatto altri, anche dell’opposizione, ma soprattutto lo ha fatto il custode della democrazia costituzionale, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha prontamente telefonato a La Russa per esprimere il proprio sostegno.

Inutile dire che il caso ha innescato una serie di reazioni contrastanti, con molti che hanno condannato l’atto come un attacco alle istituzioni democratiche e con altri che lo hanno visto come una legittima forma di protesta artistico/politica. In realtà sono forme dialettiche che, come sottolineato da studiosi della comunicazione politica, fanno parte della “politica dell’inciviltà” proveniente da una lunga tradizione di comportamento politico aggressivo.

Tuttavia, nell’ecosistema attuale, la comunicazione politica incivile trova il suo humus preferito e si diffonde approfittando dell’immediatezza comunicativa svincolata dai filtri dell’intermediazione che i social media amplificano trasformandoli in simboli e discorsi incendiari. Una comunicazione che non predilige il confronto costruttivo, ma la critica fine a sé stessa avvantaggiandosi dello scontro per catalizzare l’attenzione trasformandola in un discorso pubblico altamente polarizzato e divisivo.

Ecco perché preoccupano i messaggi come quello di Riondino, sempre più frequenti e con una capacità di richiamare l’attenzione nel panorama mediatico, che orientano l’opinione pubblica deviandola da questioni sostanziali verso conflitti emotivamente carichi. Un fenomeno che incide sulla qualità del dibattito pubblico minando la convivenza civile attraverso cicli di azioni/reazioni che si autoalimentano invischiandoci sempre più in una bolgia informativa dantesca di difficile governabilità.

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