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The Howl: l'urlo di rabbia della " Beat Generation"

Dagli esordi del gruppo di poeti e scrittori estroversi destinato a rappresentare un’intera generazione di contestatori, alla specifica identità di The Howl

The Howl: l'urlo di rabbia della " Beat Generation"
Allen Ginsberg
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5 Aprile 2024 - 18.14


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di Margherita Degani

Autunno 1955, Six Gallery di San Francisco. Lawrence Ferlinghetti invita, nel corso delle abituali letture, Allen Ginsberg a leggere il poema The Howl, destinato a diventare uno dei più significativi testi del Novecento, nonché vero e proprio manifesto della Beat Generation.

Prende così forma quella generazione di outsider che, a differenza delle precedente (Lost Generation), non lasciò l’America per l’Europa, ma si limitò a viaggiare attraverso il continente: tra Upper East Side e Greenwich Village (NY), tra North Beach (San Francisco) e Venice Beach (Los Angeles), da New York a Denver, da San Francisco a New Orleans, dal New Jersey alla California del Sud, fino a città del Messico e al Sud America.

Il termine che la identifica – usato in modo per lo più dispregiativo dai benpensanti del tempo –  individua proprio un movimento giovanile, nato attorno agli anni ’50, le cui caratteristiche principali sono un forte spirito di ribellione e il rifiuto verso i valori tradizionali della società. Questo atteggiamento di repulsione si rivolge ad una realtà umana intorpidita dalla condizione americana post-bellica, repressa dall’ombra del Maccartismo, inespressiva, inadeguata e sempre pronta a divorare l’immaginazione e la libertà dei suoi membri più eccentrici.

Inevitabile che tutto questo trovi sfogo anche nel mondo dell’arte e della letteratura, soprattutto attraverso i più celebri e rappresentativi J. Kerouac, A. Ginsberg e W. Burroughs, alla costante ricerca di un’identità che sfuggisse alla rigidità sociale ed alle imposizioni della cultura mainstream. Il gruppo iniziale, arricchito dalle successive acquisizioni, ad un certo punto sembra anche disperdersi, ma solo per ritrovarsi ed ottenere effettivo riconoscimento dal pubblico alla Six Gallery di San Francisco, nell’autunno del 1955.

Dopo la sua performance dell’autunno del 1955,  il libraio ed editore che li aveva accolti prese la decisione di pubblicare la poesia all’interno di una raccolta (1956 – Howl and Other Poems), andando incontro ad un processo per oscenità.

Ma che cos’è davvero The Howl? Un urlo di rabbia. La chiamata a rapporto dei giovani alternativi e marginalizzati. La sfrontata celebrazione di abitudini bohémien e di uno stile di vita contrario ad ogni regola sociale. Le menti di cui parla Ginsberg nell’incipit – uno dei più riusciti e forti della poesia internazionale novecentesca – sono persone reali che hanno fatto parte di quella subcultura e che lui aveva incontrato durante gli anni alla Columbia. Ragazzi come Jack, Kerouac, William Burroghs, Lucien Carr, Joan Vollmer ed Edie Parker, che si erano scambiati sogni, progetti, ambizioni letterarie, tristezze e dolori.

La poetica di Ginsberg è ricollegabile al modernismo poetico ed al romanticismo antieroico, proponendo associazioni visionarie, immagini surreali e reali al tempo stesso, sequenze allucinate, ossessive e dissacranti. Il poeta, in poche parole, si fa soprattutto profeta che, tra sogno e incubo, vuole scuotere le coscienze intorpidite dall’abitudine e dall’oppressione del pensiero. La sua è una poesia sperimentale, legata ad un verso libero molto vicino ai dettami della prosa e basata su un linguaggio nuovo, con nuove cadenze e differente divisione dei sintagmi.

The Howl resta un poema molto complesso, sia per i temi che affronta sia per la struttura, articolata in quattro parti. La prima consiste nella celebrazione della pazzia, della sessualità senza limiti, della bellezza e della creatività che derivano dalla droga e dai comportamenti più sregolati. La seconda spiega più approfonditamente la ragione della ribellione, descrivendo la società americana come Moloch, ovvero «una divinità patriarcale che sacrifica i suoi figli per l’ossessione della ricchezza e del pudore, che rende tutti completamente insensibili alla bellezza e all’intelligenza critica». Le ultime due sezioni, infine, concludono l’opera sulle note dell’amicizia tra intellettuali alternativi, che condividono il disagi e le tendenze autodistruttive di cui si è parlato. Una sorta di celebrazione  finale dello spirito controculturale dei Beat.

Tutto ciò è naturalmente rappresentato nei termini estremamente provocatori di chi sa bene, proprio per averle vissute su pelle, quanto queste idee e pratiche siano marginalizzate. Si tratta dell’esibizione di un tono nuovo, esaltato e rivendicativo, che non ha nulla di cui vergognarsi e niente da tacere. Né manca un lieve accento tragico, risultato della consapevolezza di una mancata accettazione e di una vita consumata lungo i bordi.

Seguii tutta la banda di poeti schiamazzanti quella sera, che fu la sera in cui ebbe inizio il Rinascimento poetico di San Francisco. C’erano tutti. Fu una notte pazzesca. E fui io a scaldare l’ambiente andando in giro a raccogliere monetine da un pubblico piuttosto sulle sue. Tornai con tre enormi brocche da quattro litri di borgogna californiano e li feci ubriacare tutti, finché verso le 23.00 mentre Allan Ginsberg leggeva, ululava il suo poema Ululato (Howl) ubriaco e fradicio e a braccia tese, tutti si misero a urlare “Vai, vai, vai!”. Questo il modo in cui, nei Vagabondi del Dharma,  Jack Kerouac stesso descrisse il contesto della serata, da tutti i presenti ricordata come una performance di teatralità intensa, intervallata dagli incitamenti del sopraccitato e vicina alle improvvisazioni musicali di jazz e bebop.

Eccolo, quell’Urlo profetico dedicato a Carl Solomon, amico e paziente dell’ospedale psichiatrico di Rockland, così come a tutti i suoi amici folli  – i Neal Cassady, i Jack Kerouac e chi per loro –  a tutte le migliori menti della sua generazione, a tutto il mondo. Ecco la voce di una generazione che era ancora capace di indignarsi e sulle cui basi nasceranno e si articoleranno altri movimenti, quali il pacifismo (soprattutto negli anni della guerra del Vietnam), il femminismo, le rivendicazioni dei diritti afroamericani e le contestazioni degli anni ’60.

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