di Giuseppe Castellino
Una canzone di Sergio Endrigo (famosa soprattutto tra i bambini) dice che “Per fare un tavolo ci vuole il legno”. Va da sé che per sciare ci vuole la neve, ma cosa succede quando la neve non c’è? È un interrogativo che ci stiamo ponendo sempre più frequentemente negli ultimi anni, e non possiamo sottrarci dal trovare una risposta. Legambiente ha provato a darne una in maniera ampia, che parte da uno sguardo d’insieme per poi spostarsi su argomenti più spinosi come le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026.
Partiamo dal dato più evidente: il turismo invernale è in grandissima sofferenza, e le azioni messe in campo non aiutano e in alcuni casi sono addirittura controproducenti. Le “settimane bianche” e la neve rischiano concretamente di diventare solo un ricordo sbiadito nel tempo. In questa stagione invernale gli impianti temporaneamente chiusi sono 177 (39 in più della stagione precedente), mentre quelli aperti a singhiozzo sono 93 (9 in più rispetto al report precedente). Le strutture dismesse salgono a 260. A questi dati va aggiunto inoltre il vertiginoso aumento dei bacini idrici per l’innevamento artificiale, 158 tra quelli censiti, che consumano un’enorme quantità di energia e risorse del territorio.
Tutto questo mentre i dati climatici continuano a farsi estremamente preoccupanti. Il C3s (Copernicus Climate Change Service), l’ente europeo che si occupa di previsioni meteorologiche nel medio termine, ha rilevato come le temperature dell’anno appena passato abbiano raggiunto nuovi record con una media globale di 14,98°C (+0,17°C rispetto al precedente massimo storico del 2016). Nel report viene evidenziato come temperature così alte e condizioni meteorologiche estreme abbiano un forte impatto sulla salute delle nostre montagne e come le ripercussioni siano drammatiche.
Se da un lato il turismo invernale e il suo indotto soffrono parecchio dal punto di vista economico, dall’altro i fondi stanziati dal governo non sono altro che un placebo: il Ministero del Turismo ha stanziato 148 milioni di euro per l’ammodernamento degli impianti di risalita e l’innevamento artificiale, ma nel concreto nessuna azione a difesa del clima e dell’ecosistema.
Un focus particolare del report del C3s è sullo sport, in particolare sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026 all’orizzonte. Quello che doveva essere un volano per l’economia, un’organizzazione a costo zero, un’occasione d’oro per mettere in sicurezza e ammodernare diverse infrastrutture, rischia di diventare un disastro. Innanzitutto per i costi, che lievitano con il passare dei mesi e che ad oggi sfiorano i 4 miliardi di euro. L’11 gennaio 2019 viene presentato il dossier di candidatura, il 14 giugno il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) assegna i giochi a Milano-Cortina e da lì inizia il conto alla rovescia, ma iniziano anche i problemi.
I progetti si scontrano con la dura realtà e l’impianto organizzativo si è dimostrato e si dimostra tutt’ora impreparato senza nemmeno un piano B. Tra i progetti più clamorosi vi è la pista da bob che rischia di essere l’ennesima cattedrale nel deserto. Viene individuata la pista “Eugenio Monti” di Cortina che necessita di una riqualificazione profonda visto che era in disuso da anni oltre a non essere nemmeno in linea con gli standard olimpici. A febbraio 2024, dopo una lunga e travagliata gestazione con cambi e alternative messe sul tavolo, sono partiti i lavori con la consegna prevista per il 2025.
Tuttavia, in base ai documenti, a giugno prossimo verrà eseguito un sopralluogo per valutare se procedere con il progetto iniziale o scegliere un’altra pista già esistente come quella di Saint Moritz. Il prezzo da pagare per l’ambiente? Enorme: solo per la prima fase del cantiere sono stati abbattuti più di 500 larici e il progetto, con l’attivazione della clausola Pnrr, non ha seguito il normale iter che prevede diverse valutazioni di tipo ambientale e paesaggistico.
Una riflessione doverosa va fatta sulla pesante eredità olimpica. Quale destino attende gli impianti una volta finite le Olimpiadi? Economicamente parlando il gioco non è mai valso la candela, dal 1992 ad oggi tutte le edizioni hanno avuto costi extra per ospitare i Giochi (al primo posto abbiamo Sochi con 21,89 miliardi di dollari e un superamento dei costi del 289%) e diverse località hanno avuto eredità troppo pesanti da sostenere.
Basta guardarci in casa. La pista da bob costruita per i Giochi invernali del 2006 di Torino, ha chiuso dopo 6 anni per costi di gestione insostenibili e un’errata valutazione sulla fruibilità post-Olimpiade. Non è l’unica città ad aver subito questa sorte: Nagano, Sochi, Sarajevo sono solo alcuni nomi di edizioni che hanno lasciato il segno. Il Cio, sulla base delle edizioni precedenti, nelle raccomandazioni dell’Agenda Olimpica 2020 ha scritto che nessuna sede permanente dovrebbe essere costruita senza un piano di Legacy chiaro e fattibile. Raccomandazione che sembra essere caduta nel vuoto in questa circostanza
Un altro capitolo fondamentale riguarda il cambiamento climatico, che è destinato a segnare indelebilmente la storia di sport e Olimpiadi invernali. Le nevicate si fanno sempre più rade e il trend sembra non invertirsi. Secondo uno studio dell’Università di Waterloo se le attuali emissioni di gas serra aumenteranno, entro la fine del secolo solo 1 delle 21 località che hanno ospitato i Giochi Invernali potrà ospitarla nuovamente. A questa prospettiva si aggiunge la realtà. Nella stagione invernale 2023 sono stati cancellati 20 competizioni sciistiche (12 maschili e 8 femminili) causa condizioni climatiche avverse; una tendenza che è destinata ad aumentare nel tempo.
Alla luce di questi dati che Legambiente porta in superficie, più che riflessioni dovremmo porci degli interrogativi. Siamo ancora disposti a mantenere questo stile di vita? Siamo ancora disposti a costruire in maniera incontrollata e senza alcuna valutazione di tipo ambientale e paesaggistico? Di quali altri segnali abbiamo bisogno per capire che è necessario invertire la rotta? Per gli appassionati di lettura, c’è un racconto di Mario Rigoni Stern: il racconto si chiama I ghiri e si trova dentro il libro Uomini, Boschi, api. L’attualità di questo racconto è sconvolgente e non è molto dissimile da ciò che sta succedendo nelle future sedi delle Olimpiadi Invernali 2026.