Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha sconvolto l’Italia, la 105esima donna, quest’anno, uccisa da un uomo. La sua morte ha scatenato ondate di dolore, cordoglio e rabbia, per la giovane vita spezzata ma soprattutto per l’ennesimo caso di violenza sulle donne finito in tragendia.
La professoressa Piccinni, nostra assidua collaboratrice, si è espressa cosi attraverso il suo profilo Facebook, condividendo alcuni suoi primi pensieri riguardo questo barbaro accadimento:
“Il patriarcato è allo stesso tempo sotto assedio e al potere” (Carol Gilligan e Naomi Snider). Nei nostri cervelli il cambio di civiltà è già avvenuto, nel senso che la nostra società rifiuta il controllo esclusivo dell’autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi. Tante donne ricoprono oggi ruoli di responsabilità nel mondo e anche in Italia diverse leggi, anche se con fatica e in modo incompleto, nel corso del secolo scorso hanno accompagnato il riconoscimento di un cambio sul piano dei diritti. Ad esempio, la violenza domestica non è più ‘violenza legale’, come era riconosciuta dalle leggi nella tradizione patriarcale (che pure, va ricordato, avevano le loro cautele, ad esempio nel medioevo si riconosceva che la violenza contro le donne offendeva i valori di fondo della comunità ed essa si faceva carico dell’offesa).
La resistenza del patriarcato sotto forma di regime sociale gerarchico, pure superato dalla coscienza comune, si fonda, tra le altre, sulla colonna portante dello stereotipo della fragilità femminile che è, appunto, l’identità sociale che è stata in grado nel tempo di creare vere e proprie strutture mentali e dunque determinare pratiche e comportamenti. L’ identità sociale è un insieme i comportamenti e di atteggiamenti diversi previsti dalla società per il sesso maschile e per quello femminile che porta uomini e donne a organizzare la propria personalità, idee e sentimenti in relazione a delle aspettative differenti. E la cultura patriarcale è pervasiva perché l’identità sociale si appoggia ancora su stereotipi che molte e molti hanno introiettato.
La storia di Giulia ha sconvolto più delle altre 104 storie italiane di morte di questo 2023 perché incarna una fase di passaggio. Con questa morte il sistema inizia davvero a scricchiolare, perché è davanti agli occhi di tutti – e non solo di gruppi culturalmente più avvertiti – il fatto che Giulia era migliore di lui. Semplicemente e sotto mille profili. E il femminicida sapeva benissimo quanto questa cosa, intollerabile per lui, fosse sovvertitrice. Ne aveva compreso, vagamente ma in modo chiaro, la carica dirompente. In questo senso la sorella di Giulia, molto coinvolta, ha scritto che l’assassino è il frutto sano e non malato del patriarcato.
La fase di transizione nella quale ci troviamo, e che ci sfinisce, genera però interrogativi che ci tormentano in questi giorni. Di chi è la colpa, ci chiediamo: e allora vengono fuori, a turno, il sistema patriarcale, i genitori, la scuola, e quanta è colpa degli uni e quanta dell’altra e quali leggi potrebbero insegnare al rispetto dell’affettività, per trovare rimedio a queste colpe.
Ma, posta così la domanda, la risposta non si può trovare. La questione non è individuare le colpe, e la risposta non è soltanto tracciare (finalmente) la via d’uscita definitiva dal sistema del patriarcato, che ha compiuto la sua parabola storica, e nemmeno soltanto in una serie di interventi normativi.
La questione sta nel capire che l’essere umano non è fatto per vivere così come oggi viviamo, come singoli, come famiglie, come insegnanti, come genitori, come figlie e figli, come donne e uomini.
In questa vita, in questa famiglia e in questa scuola che guardano al risultato e non alla crescita, che non trasmettono il senso del limite, che non allenano i ragazzi ad elaborare la minima frustrazione, in questa vita competitiva e a tratti ferocemente asociale, che ci invita tutti al cimento e alla competizione… in questa vita l’affettività non trova per esprimersi lo spazio sconfinato del quale ha bisogno. In questo sistema economico/socio/anaffettivo si sono ridotti gli spazi di sviluppo dell’essere umano. La gente non ‘sente’ più. E dunque occorre riportare la gente a ‘sentire’.
La storia di Giulia potrebbe rappresentare la svolta se, toccando così crudamente le coscienze, facesse divenire tutto questo un sentimento di massa.