di Marialaura Baldino
Con l’Iran ancora in rivolta, due donne in Italia ai vertici dei maggiori partiti politici e con la grande presenza di associazioni femminili in piazza, la lotta per la parità dei diritti appare, o così viene dipinta, come una rivoluzione finita.
A discapito dei rituali mondani, con l’assalto ai fiorai e alle scatole di cioccolatini, l’istituzionalità (sottaciuta) di questa ricorrenza ci ricorda, in realtà, che il percorso verso la parità dei diritti di genere non sia arrivato a compiere che un breve passo che ha i tratti di un’abbozzata emancipazione.
Ci siamo detti tante volte come questa giornata serva a ricordare le grandi conquiste ottenute nel tempo, anche se solo in una piccola parte di mondo, o anche a ripensare alle numerose situazioni di disparità e discriminazione che continuano a subire.
Un 8 marzo che, però, oggi, sa di ben poco, se ci si continua fare gli auguri senza, in fondo, riflettere davvero sul significato della ricorrenza e sulla condizione della donna nella nostra società.
Rileggere questa giornata aiuterebbe tutti a capire che chiamarla festa, in realtà non le rende né merito né giustizia.
Nessuno nega le grandi conquiste del passato e le piccole vittorie quotidiane, solo che se poi questi stessi diritti, che molti credono già consolidati, vengono continuamente messi in discussione da esponenti politici e dalla nostra società, mi spiegate quindi cosa ci sarebbe da festeggiare?
Se volessimo rifletterci su, partendo dall’esempio più dibattuto oggi, la legge 194 sull’interruzione di gravidanza è un valido modello a sostegno del fatto che niente deve essere dato per scontato e il pensare che alcuni diritti siamo sempre e comunque garantiti è un lusso che non possiamo permetterci.
Ragionando, invece, sull’ambito lavorativo, proprio questa mattina “La Repubblica” ha reso noto, online, un dato importante, rilasciato da Inapp-Plus, dove 1 donna su 5 lascia il lavoro dopo la maternità, magari anche vincolate dal mancato rinnovo del contratto dopo il parto.
Menzionerei, per la riflessione, anche il famoso “soffitto di cristallo”, una triste metafora usata anche per indicare gli ostacoli lavorativi, economici e sociali dovuti a discriminazioni di genere nella parità dei diritti. Una retorica cattiva, perché da il senso del fatto che è possibile vedere al di là del vetro, se solo venisse infranto. Ma siamo ancora qua, con solo il 3% delle donne in Italia che occupa posizioni di potere e con il divario retributivo di genere che persiste.
Oggi, quindi, non è la giornata per festeggiare le donne, con frasi postate nelle stories e gif di mimose che imperversano le chat di Whatsapp. Non pensate a questa giornata come una festa, bensì come un megafono, che diffonde la pretesa di rispetto e l’impegno nella parità dei diritti, che chiede una parità di accesso alle cariche istituzionali e una maggiore parità retributiva; un megafono che incita alla lotta contro violenza di genere e ogni forma di abuso e femminicidio.
Pensarla così questa giornata, ci aiuterebbe a ritrovare la dimensione e l’obbiettivo originale di questa celebrazione, evitando di compiere gesti vuoti e di pronunciare parole povere che danneggiano l’accezione di quei pochi diritti conquistati.